Sguardo di donna sulle artiste della Biennale di Venezia
May You Live In Interesting Time è il titolo della Biennale 2019: tante forme espressive
Sabato, 29/06/2019 - Una presenza forte di artiste alla Biennale di Venezia 2019, che ha titolo May You Live In Interesting Time, permette di analizzare diverse forme espressive e studiare analogie e differenze.
Eva Rotshild, unica artista del Padiglione irlandese, occupa, attraverso quattro diverse installazioni, uno spazio ampio definito attraverso forme e colori.
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Gli elementi, realizzati con materiali diversi e quotidiani (tessuto, acciaio, poliuretano, resina), assumono forma di cilindro, di parallelepipedo , in poliuretano e cemento dipinto.
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I parallelepipedi richiamano le barriere di cemento che popolano le nostre città; barriere che, a proprio rischio e pericolo, come avverte la didascalia accanto all’opera, si possono scalare.
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L’India presenta una collettiva di sei artisti e due artiste che riprendono, attraverso le opere esposte, la filosofia del Mahatma Gandhi.
“Non mi considero un profeta, un santo o un filosofo della non violenza; sono solo un artista di questa pratica. Il mio desiderio è riuscire a rendere la non-violenza una forma di resistenza concreta”.
Nelle fotografie che documentano le performances di Shakuntala Kulkarni il corpo femminile si muove in spazi pubblici e privati affermando la propria presenza. In questa occasione Shakuntala utilizza il vimini, abitualmente usato per realizzare cesti, sedie ed altri oggetti di uso quotidiano, trasformandone radicalmente la modalità d’uso. L’armatura, che viene indossata su corpo femminile, non è intesa solo come forma di protezione ma anche come abito che suggerisce un corpo femminile elegante, vulnerabile ma, nello stesso tempo, potente.
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Rummana Hussain realizza installazioni, generalmente effimere, e performances,ed è attiva sui temi sociali. L’installazione realizzata per questa biennale rimanda, attraverso l’uso di materiali naturali quali la terracotta e i pigmenti, all’attenzione verso la Terra, fragile madre, vecchia e stanca, che necessità di aiuto e sostegno da parte delle figlie e dei figli.
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Daiga Grantina, unica artista del padiglione della Lettonia, presenta un’installazione site specific: uno spazio animato, quasi fiabesco, nel quale materiali differenti (metallo, stoffe, legno, piume, cartone, neon) accostati in modo non convenzionale danno il senso di un mondo dichiaratamente alternativo all’attuale.
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Un mondo in cui “un’alba del cosmo si apre come uno spazio e un tempo per generare nuove possibilità”.
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Andra Ursuta, rumena nata nel 1979 che vive e lavora a New York, espone una serie di sculture composte di forme femminili e bottiglie colate in cera e, successivamente, in vetro.
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L’acqua contenuta nelle forme costituisce un’ analogia ironica sia rispetto al concetto maschilista secondo cui le donne, come i vini, migliorano con gli anni che alla visione della vita racchiusa nel bicchiere mezzo pieno – mezzo vuoto.
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Amma K.E., per la Georgia, ha realizzato un’installazione architettonica, percorribile, a gradoni bianchi piastrellati; una forma architettonica sulla quale sono inseriti video e sculture in acciaio a forma di rubinetti che richiamano l’alfabeto georgiano.
L’accostamento tra acqua e parola,elementi essenziali per la vita, mi è parsa particolarmente interessante
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Christine e Margaret Wertheim, nate in Austalia, vivono e lavorano a Los Angeles. La loro opera, Crochet Cora l Reef è costituita da diorami rappresentanti forme di vita marine, i coralli, realizzati all’uncinetto utilizzando fili e filati, cavi, nastri di videocassette e perline che, diversamente combinati, formano una barriera corallina. Attraverso una convocazione di mail art si sono aggiunte al progetto iniziale opere pervenute alle due gemelle per posta. Più di diecimila contributi hanno permesso di creare una quarantina di barriere esposte in diverse città e paesi.
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Pur trovando l’opera esposta al limite del kitsch lezioso, ho particolarmente apprezzato sia l’estensione del progetto attraverso la convocazione di mail art che l’utilizzo della Knitting Art. Knitting Art che restituisce dignità ad un lavoro femminile che, in quanto tale, è stato generalmente sottovalutato quando non addirittura disprezzato. Mi spiace soltanto che quello che è stato sempre definito “lavoro a maglia” debba essere tradotto in Inglese per acquisire importanza…
Alle Corderie colpisce l’installazione Escalation di Alexandra Birken, nella quale una quarantina di figure umane prive di testa, realizzate in tessuto immerso in latex nero, popolano scale che collegano pavimento e soffitto.
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Una visione apocalittica del mondo dove il senso di angoscia viene accentuato dall’uso del colore nero, dalle forme acefale e dalla mancanza del senso di aiuto e di relazione, c. ome se l’interesse per la salita eliminasse il sentirsi parte di una collettività.
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Nel padiglione olandese Iris Kensmil attraverso tre installazioni a parete presenta il pensiero del femminismo black e riflette sull’essere artista e sulla necessità di proteggere la propria autenticità.
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In Italia abbiamo ragionato sul femminismo praticandolo ed elaborando pensiero. Lo stesso ha fatto il femminismo black ma su una visione di utopismo che, attraverso scrittura ed azione, esprime la necessità di costruire un mondo migliore.
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Kensmil ha studiato le utopiste black riferendosi al Black Archives assumendo come punto di riferimento per la sua ricerca Caraibi, USA ed Europa. Ha individuato quindi sette donne delle quali, recuperando le immagini, ha realizzato i ritratti utilizzando un sottosmalto bianco che permette di illuminare l’aspetto e la forza di donne che hanno grande importanza per il nostro presente e il nostro futuro.
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All’entrata del padiglione venezuelano, ai Giardini, colpisce l’opera di Natali Rochas.
L’artista, nata in Venezuela ed emigrata in Spagna da diversi anni, ha realizzato un’installazione utilizzando stoffe, fili, collant.
Su due semicolonne in metallo a rete, dall’alto in basso, si susseguono forme di radici, cuori, strisce di tessuto. L’effetto di colore sgargiante attenua il senso, doloroso, dell’opera, pensata sulla migrazione. L’artista ha lavorato con migranti arrivati in Spagna, migranti che abbandonano la propria terra conservandola nel proprio cuore e che giungono in un nuovo paese avendo con sé solo gli abiti che indossano.
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Ricordo di aver letto in Io, tu, noi di Luce Irigaray, il suo concetto sulla presentazione di realtà dolorose. Spesso le opere delle donne esprimono lo strazio vissuto attraverso modalità che colpiscono violentemente chi si pone davanti alle opere stesse. Irigaray preferisce, anche quando deve affrontare la violenza e il dolore, esprimere le realtà in modo da non ferire ulteriormente. Ecco, ho trovato nelle installazioni di Natali questa stessa attenzione, accompagnata dall’uso di materiali tessili e di fili che, come i collant, rimandano al genere femminile.
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