Giovedi, 22/11/2012 - La VII edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, quest’anno molto discusso e iniziato sotto il segno delle polemiche già con la nomina di Marco Müller a nuovo direttore artistico, in sostituzione della giornalista e critica cinematografica Piera Detassis, ha avuto se non altro il merito di selezionare e presentare alcuni bei film di registe donne - anche se sempre troppo pochi ! - o su tematiche d’interesse femminile.
Primo fra gli altri, l’attesissimo ‘Tutto parla di te’, ultima fatica della regista e documentarista milanese Alina Marazzi (‘Un'ora sola ti vorrei’, ‘Vogliamo anche le rose’) che per la prima volta si cimenta in un lungometraggio, sia pur con incursioni documentaristiche, sul tema scottante delle difficoltà e dei traumi derivanti alle neo-mamme dalla maternità, dalle responsabilità e sottrazioni di libertà che l’avere figli comporta. L’indagine psicologica e la ricerca di significati è affidata alla grande Charlotte Rampling, nei panni di Pauline, la protagonista del film, che torna dopo molti anni a Torino nella casa di famiglia: tra i ricordi emergenti di tragedie vissute in prima persona, gli incontri con l’amica psicologa che dirige un Centro maternità e le storie personali raccontate dalle donne, con pudore ma nella loro verità spesso cruda, si dipana una trama sottile, il cui scopo ultimo è quello di portare alla luce un tema forte e spesso tenuto sotto silenzio. Essere madre non è sempre una gioia, per molte è un trauma insuperabile, che può portare fino all’omissione di cure ed al tentato o compiuto infanticidio. I racconti autobiografici delle donne intervistate appaiono drammatici ed autentici, complessi come la vita, e sfatano il tabù della madre necessariamente amorevole e felice. L’incontro della protagonista, Rampling/Pauline, con Emma (l’attrice Elena Radonicich), una giovane madre in crisi perché costretta a lasciare la danza con la nascita del figlio ed oppressa dal senso di responsabilità fino a volerlo allontanare fisicamente da sé, farà nascere una complicità che aiuterà entrambe a fare i conti con la propria storia e fragilità. I filmati d’archivio, i filmini in Super8 e le foto di famiglia, molto utilizzati nel film, segnano in modo inconfondibile la cifra stilistica della regista, che continua a fare i conti con il rapporto madre-figlia, con i suoi fantasmi di figlia e le sue paure di madre, restituendo un prodotto originale, fra fiction e realismo. “Con questo film – afferma la Marazzi – ho voluto raccontare l’ambivalenza del sentimento materno e la fatica che si fa ancora oggi ad accettarla ed affrontarla. Per restituire la complessità di questo sentimento ho voluto integrare la fiction con materiali diversi: filmati d’archivio, animazioni, elementi documentari, con i quali evocare i vari livelli emotivi che questa tensione muove in chi la vive”. Coprodotto da Italia e Svizzera, il film ha vinto il premio per la Miglior Regista Emergente, attribuito alla Marazzi, al Festival internazionale del Film di Roma.
Incursione nel puro divertissement, invece, il nuovo film dell’artista iraniana Marjane Satrapi, sempre brava a rinnovarsi e stupire, presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2012 con il titolo La bande des jotas. Dopo il successo dei suoi primi film, Persepolis (ormai vero e proprio cult dell’animazione) e Pollo alle Prugne, entrambi tratti dalle sue graphic novels, la Satrapi torna sul grande schermo con un piccolo film noir/grottesco, il cui principale scopo - come da lei dichiarato in conferenza stampa - è quello di divertirsi e ricordare a se stessa perché fa cinema, cioè per la gioia di girare. Sceneggiato, prodotto, diretto ed interpretato dalla illustratrice-regista, per la prima volta sullo schermo anche come attrice protagonista (e danzatrice improvvisata di un esilarante balletto), il film rappresenta un intermezzo nella carriera registica di Marjane Satrapi e come tale va inteso: un’espressione di libertà e fantasia, che non tradisce o dimentica i temi a lei cari (la donna forte in mezzo a uomini ‘manovrabili’, il Paese di origine di cui non vuole rivelare il nome.
Anche ‘Main dans la main’, l’ultima opera di Valérie Donzelli, selezionata per il concorso a Festival Internazionale del Film di Roma 2012, benché non raggiunga la deliziosa perfezione del suo primo film, ‘La guerra è dichiarata’, si distingue per grazia e follia, genialità ed anticonvenzionalismo. Un uomo e una donna diversissimi fra loro dal momento in cui s’incontrano non possono più staccarsi (letteralmente) uno dall’altra e sono costretti a compiere per lungo tempo le stesse identiche cose, finché un giorno maturerà fra loro il desiderio di stare insieme per scelta consapevole. Jérémie Elkaïm, ex marito della Donzelli, strappa il premio come miglior attore protagonista di questa commedia romantico-musicale, e conferma la regista come una delle giovani autrici più promettenti del cinema francese
Raffinata e difficile l’opera della regista ucraina Kira Muratova, presentata in concorso con il titolo ‘Eterno Ritorno: Provini’, che mescola realtà, finzione, gioco delle parti, eleganza stilistica, reiterando più e più volte la stessa scena, in bianco e nero, con attori diversi e lievi differenti sfumature: un lui va a trovare una lei, sua ex compagna di corso, dopo 10 anni, per raccontarle che ama due donne allo stesso tempo. Ai sensati consigli di lei non vuole sentire ragioni, accusandola d’insensibilità perché non cede alla sua spirale dialettica senza vie d’uscita. La Muratova, con ironica destrezza, dichiara come solo in apparenza tutto si ripeta mentre, al contrario, la realtà non si lascia ingabbiare né controllare. L’uomo, nelle diverse scenette, risulta piuttosto privo di capacità di discernimento e indisponibile ad accettare la realtà, la donna, al contrario, autonoma, accogliente e in grado di decidere con lucidità. una dichiarazione d’amore per il cinema per questa regista, Orso d’oro a Berlino nel 1990. ‘Il film è anche un esperimento antropologico - ha spiegato la regista - infatti ogni coppia di attori ha realizzato la scena in maniera diversa, creando atmosfere differenti, tali che si sarebbe potuti andare avanti all’infinito’
Presentata in concorso nella sezione Prospettive Italia al Festival Internazionale del Film di Roma 2012, ‘La scoperta dell’alba’ è l’opera seconda della regista Susanna Nicchiarelli, dopo il felice esordio nel 2009 con un piccolo film molto interessante (Cosmonauta). La pellicola selezionata al Festival, basata sull’omonimo romanzo di Walter Veltroni racconta la storia di due sorelle Caterina e Barbara (interpretate da Margherita Buy e dalla stessa Nicchiarelli) che devono fare i conti con la morte del padre, probabilmente ucciso dai brigatisti, avvenuta a Roma nel 1981. Ma la vendita di una casa di famiglia sembra avere il potere sovrannaturale di riportare le due donne negli anni Settanta/Ottanta, mescolando i piani temporali di ieri e di oggi ed aiutando le protagoniste, e gli spettatori, a fare i conti con una certa epoca storica. ‘Gli anni '80 - spiega la regista - hanno rappresentato un momento di passaggio, il terrorismo aveva ancora lasciato degli strascichi e dal punto di vista culturale qualcosa stava cambiando con l'arrivo dei punk e dei video musicali in TV.’
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