'Settimo cielo' di Caryl Churchill - di Deborah Di Cave
Per la prima volta a Roma un lavoro della drammaturga inglese più importante nella scena europea, un progetto 'non rassicurante' per celebrare i suoi 80 anni
Martedi, 27/02/2018 - Dopo alcuni suoi testi andati in scena negli ultimi anni anche al teatro Belli, è arrivato per la prima volta a Roma - in scena al teatro India dal 14 al 25 febbraio - il capolavoro firmato nel 1979 da Caryl Churchill, “Settimo Cielo”.
Autrice ancora vivente - compirà 80 anni a settembre di quest’anno - e pochissimo conosciuta in Italia, Caryl Churchill è unanimemente considerata insieme a Tom Stoppard la drammaturga inglese più attuale e valida della scena europea degli ultimi 50 anni. Autrice di fama internazionale, la Churchill propone testi versatili e scandalosi che hanno cambiato il linguaggio del teatro e le hanno fatto meritare la definizione di “mother of re-invention”, sempre perseguendo la strada di un teatro insieme politico e poetico che non appare mai datato o scontato.
Nella cornice industriale del teatro India la regista Giorgina Pi ha trovato un’ambientazione ideale per questo testo tradotto da Riccardo Duranti e realizzato all’interno di un progetto dedicato al teatro di Caryl Churchill intitolato “Non normale, Non rassicurante” (mai definizione è risultata più calzante per un teatro teatrale), che vede l’inedita collaborazione tra il Teatro di Roma e il centro di produzione indipendente Angelo Mai. Il progetto nasce dalla collaborazione tra la studiosa di teatro inglese e femminista Paola Bono e l’Angelo Mai e intende celebrare gli 80 anni dell’autrice proprio proponendo per la prima volta o riproponendo in Italia i suoi testi.
Approcciando uno spettacolo che scritto in una ben specifica temperie storica e culturale come la fine degli anni ’70 il timore - e forse anche la speranza - è di ritrovare alcune salde certezze di quei tempi: lo scandalo fine a se stesso, il linguaggio innovativo e al tempo stesso criptico, una narrazione non lineare e una storia non storia.
Bisogna dire che fin dall’ arrivo in teatro si ha in effetti la sensazione di essere risucchiati in un vortice spazio-tempo, quando agli spettatori viene chiesto di partecipare ad un rito collettivo di inizio spettacolo che obbliga gli spettatori ad attendere 20 minuti fuori le porte della sala in modo da poter entrare tutti insieme mentre attori e attrici sono già schierati ai loro posti, per ripetere poi il rito anche all’intervallo….cose d’altri tempi si dirà, esperienza nostalgica che richiama il Living Theatre. Forse.
Anche il testo svolge il suo compito di estraniamento spazio-temporale catapultando lo spettatore in un groviglio di epoche con il viaggio tra le politiche del sesso vissuto da un gruppo familiare prima nell’Africa coloniale del 1879 e poi nella Londra dei punk e della liberazione sessuale del 1979. Fra adulteri vissuti o immaginati ed iniziazioni sessuali la materia è quella della messa in crisi della cultura sessuofoba, razzista e moralista, dell’educazione repressiva - educastrazione come la chiamava Mario Mieli – delle nuove generazioni. Fin qui il risultato risulta interessante e liberatorio, ma certamente abbastanza aderente all’epoca in cui il testo è stato scritto.
Ciò che invece porta lo spettacolo ad un livello superiore e lo pone come incredibile profezia della contemporanea cultura queer e degli studi gender è la scelta del cross-casting sessuale e razziale che confonde ruoli, generi e orientamenti sessuali in una narrazione che così si spinge ben oltre l’assunto del testo stesso ribaltando continuamente certezze e assiomi binaristi e proponendo un vero e proprio corto circuito all’interno delle teorie biologiste sulla sessualità, la famiglia, le relazioni, i corpi. Il risultato complessivo è un’opera che sfida del tutto il tempo proponendosi con un’attualità sorprendente sia per i temi trattati, ampi e complessi, sia per la struttura narrativa e la messa in scena.
A questo impianto caratterizzato da continui cambiamenti di abito e comportamento nei personaggi, si prestano con straordinaria duttilità e affiatamento attori e attrici tutti e tutte dotati di grande talento e personalità, rappresentanti di una giovane scena teatrale italiana che lascia ben sperare per il proseguimento del progetto di messa in scena di altre opere della Churchill.
Costumi, musiche, canzoni cantate dal vivo, effetti visivi mai banali completano uno spettacolo emozionante e seducente che ben rappresenta la congiunzione tra politica e poetica tipica di questa drammaturga di cui a questo punto non possiamo più fare a meno.
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