- A Londra, fino al 20 settembre, una mostra dedicata ai contributi più importanti nello studio del comportamento sessuale
Silvia Vaccaro Sabato, 28/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015
Londra. “La chiamavano bocca di rosa metteva l'amore, metteva l'amore, la chiamavano bocca di rosa metteva l'amore sopra ogni cosa”, così il poeta Faber raccontava la storia di una donna che si prostituiva e che viveva con gioia l’esperienza di dare e ricevere piacere. Insieme a lei - personaggio verosimile di fantasia - altre donne e altri uomini nella storia dell’umanità hanno vissuto la sessualità con atteggiamento disinvolto e libero, e alcune delle loro storie sono state ampiamente raccontate in libri di storia e romanzi. Più in generale, però, nella morale comune il sesso era considerato faccenda privata di cui non si doveva disquisire pubblicamente, argomento scandaloso che generava pudori e pruderie di ogni sorta. Così è stato per molto tempo, almeno.
La mostra “Institute of sexology”, in corso alla Wellcome Collection di Londra fino al 20 settembre, si propone l’interessante compito di scavare nella memoria degli ultimi centocinquant’anni di storia della sessuologia, e lo fa attraverso le ricerche e le scoperte di studiosi e attivisti che, con il loro sguardo scientifico e liberatore, seppur con le loro contraddizioni, hanno dato un contributo sostanziale all’evoluzione dei costumi sociali. Ispirati talvolta dalla volontà di “curare le perversioni” (come sono state considerate per molto tempo l'omosessualità e la transessualità), spesso da quella di liberare i desideri repressi, questi personaggi hanno cercato di sgombrare il campo dai tanti tabù esistenti, elevando la sessualità ad oggetto di studio scientifico, ponendo interrogativi ed elaborando teorie che li hanno resi famosi e che resistono, in alcuni casi, nel dibattito attuale. Il giro comincia con la parte dedicata al sapere raccolto da Magnus Hirschfeld, fisico e sessuologo, fondatore dell’Institut für Sexualwissenschaft, sorto durante gli anni della Repubblica di Weimar e dato alle fiamme nel maggio del 1933, tre mesi dopo l’ascesa di Hitler al potere. L’Istituto promuoveva la ricerca scientifica come spinta verso una maggiore giustizia sociale, soprattutto rispetto al trattamento delle minoranze sessuali. In questa sezione si trovano anche riferimenti ai lavori di Havelock Ellis, medico e psicologo britannico e Richard von Krafft-Ebing, psichiatra tedesco, entrambi fondatori della sessuologia e in contatto con Sigmund Freud, padre della psicoanalisi del quale è possibile leggere alcune lettere.
#foto5dx# La sua intuizione rivoluzionaria fu di collegare la sfera della sessualità all’attività neurologica: sebbene lui cercasse una causa fisica per spiegare l’insorgere delle nevrosi, l’invenzione della psicoanalisi gli permise di focalizzarsi sui processi mentali alla base dei comportamenti, riuscendo a fornire supporto ai suoi numerosi pazienti e contribuendo in modo sostanziale ad una rivoluzione copernicana che investì l’arte, la letteratura, il cinema e le scienze sociali e filosofiche di tutto il novecento. Nella mostra si possono anche ammirare alcune splendide foto della serie “Faces and phases” scattate da Zahele Muholi, nota fotografa africana contemporanea che restituisce la pluralità e la diversità della comunità lesbica, con una serie di ritratti in bianco e nero. Nelle teche sono esposti esemplari di vibratori degli anni ’30 come il “Veedee”, meglio conosciuto come il Veni Vidi Vici in grado di “calmare l’isteria femminile”, pacchetti vintage di condom, antichi modelli di spirali, immagini di coppie intente a darsi piacere, fotografie in chiave anatomica di organi sessuali, statuette e riproduzioni, numeri di Playboy e di Spare Rib, giornale femminista pubblicato in Inghilterra dal 1972 al 1993. Su un maxi schermo la proiezione una lunga intervista di gruppo dichiaratamente sullo stile dei Comizi d’amore pasoliani, fatta ad un gruppo di fanciulle americane intente a discutere di corpo e piacere. E di femminismo. Come non tirare in ballo il potere liberatorio delle rivendicazioni delle donne? E tra i tanti contributi raccolti vengono fuori i nomi di due studiose e appassionate che hanno portato in primo piano, ben prima degli anni ‘70, l’importanza del desiderio femminile: MarieStopes e MargaretMead.
La prima, inglese, fu attivista per i diritti delle donne e pioniera nel campo della pianificazione familiare. Nata ad Edimburgo nel 1880 da padre archeologo e madre suffragetta, studiò paleobotanica prima a Londra e poi a Monaco di Baviera. In Inghilterra divenne celebre per il suo libro “Married Love”, pubblicato nel 1918 e condannato dalla Chiesa, che vendette oltre duemila copie in quindici giorni. In questo rivoluzionario volume si fornivano consigli alle donne affinché non considerassero il proprio corpo come una proprietà del marito e si riconoscessero il diritto ad un’attività sessuale che desse loro piacere. Tantissime le donne con cui negli anni Marie riesce ad entrare in contatto, e che le scrivono lettere affettuose, esposte nelle teche della mostra, e di sincero ringraziamento per i saggi consigli. Forte del prestigio sociale e incurante dell’ostilità della Chiesa, nel 1921 aprì una clinica per la pianificazione familiare a Holloway, a nord di Londra (nella configurazione attuale della città proprio all’inizio della zona 2) che offriva un servizio gratuito alle donne sposate delle classi più povere per riuscire a prevenire gravidanze indesiderate. Nel 1925 la clinica si trasferì al centro della città e via via si creò una rete che diventò successivamente il Consiglio Nazionale di controllo, oggi Family Planning Association. La BBC l’ha inserita tra i “Greatest Britons”, tra i cento britannici più influenti nella storia. L’altra studiosa a cui la mostra rende omaggio è Margaret Mead, antropologa statunitense, che nel 1925 iniziò le sue ricerche sui costumi sessuali degli abitanti di Samoa, stato insulare del Pacifico.
Al suo ritorno, tre anni dopo, pubblicò L’adolescente in una società primitiva (Coming of Age in Samoa) che si interrogava sulla sessualità degli adolescenti in un confronto tra giovani statunitensi e samoani. La tesi di Mead era che la sessualità, in un contesto sessualmente più permissivo, ne giovava, dimostrando la radice culturale e sociale (e non biologica) della difficoltà sessuali che vivevano molti giovani negli USA. La mostra offre numerosi altri spunti come quelli forniti dallo psicoanalista austriaco Wilhelm Reich, che già nel 1939 teorizzava “una sessualità libera in una società egualitaria” e di William Masters e Virginia Johnson, studiosi americani che osservarono decine di volontari durante il rapporto sessuale arrivando nel 1966 ad affermare la profonda complessità della risposta femminile al piacere. Indiscutibile, dunque, il ruolo della sessuologia intesa come scienza in grado di dare un impulso alla rivoluzione dei costumi sociali, in passato e ancora oggi, in un presente che sembra quasi del tutto “liberato” ma in cui il moralismo e il perbenismo - mali antichi legati a retaggi religiosi e culturali - non sono stati del tutto debellati.
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