Percorsi Cooperativi - Da 40 anni organizza l’assistenza anche per rendere libere le donne. È la cooperativa Cadiai e ce ne parla la Presidente Franca Guglielmetti
Maria Fabbricatore Lunedi, 17/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2014
Cadiai è una cooperativa sociale che da quarant’anni si occupa di assistenza agli anziani, ai disabili attraverso case-residenza e ai bambini con la gestione degli asili nido nel comune di Bologna e provincia. Abbiamo intervistato la Presidente Franca Guglielmetti
Da quanto tempo è presidente della Cadiai?
Sono presidente dal 2008, sono succeduta a quattro presidenti donne com’è tradizione alla Cadiai, che cerchiamo di mantenere viva, in quanto è stata fondata da un gruppo di donne, che all’epoca svolgevano servizio di badanti, erano venti donne e tre uomini. Quest’anno celebriamo il 40° anno della cooperativa.
Quarant’anni sono tanti e rispetto al passato sono cambiate tante cose. Come svolgete oggi il servizio verso i vostri assistiti?
Ci sono stati molti cambiamenti e diverse fasi. Ora c’è una fase di ritorno alle origini, perché all’inizio la cooperativa svolgeva servizio ai privati. I primi utenti erano le famiglie private che avevano bisogno di assistenza presso domicilio o presso gli ospedali. Poi c’è stata una fase, che continua tuttora dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, con le assegnazioni di servizio attraverso la partecipazione alle gare. Dopo tutta questa fase di stretta collaborazione con l’ente pubblico abbiamo cominciato a essere più autonome. Le gare, che erano ogni due o tre anni, non ci consentivano di garantire continuità lavorativa ai nostri dipendenti, ai nostri soci, perché fino al ’94 le cooperative erano formate solo da soci, con la nuova legge abbiamo potuto lasciare libere le persone di diventare o no socie. La scelta di diventare più autonome ci ha portato a fare importanti investimenti, perché una grande espansione in seguito l’abbiamo avuta con i progetti di costruzione e gestione di servizi promossi gli enti pubblici. Nella fase attuale stiamo tornando direttamente ai privati.
Come mai questo ritorno alle origini?
Per un forte restringimento dei servizi svolti dall’ente pubblico, sia direttamente, sia attraverso contratti con altri enti, e perché abbiamo subito dei tagli molto importanti, soprattutto nell’assistenza domiciliare, a partire dal 2008, quando io sono stata eletta presidente, quindi da quanto è cominciata la grande crisi economica. Abbiamo avuto un ridimensionamento del 40% dei servizi di assistenza domiciliare. La nostra esigenza era soprattutto il lavoro per le nostre socie, per le nostre dipendenti, per cercare di garantire continuità occupazionale. Abbiamo avviato, dunque, un'altra politica perché sul versante pubblico abbiamo subito solo ridimensionamenti.
Ci sono alcune associazioni che chiedono che venga riconosciuta la figura del familiare curante anche attraverso una forma di retribuzione o di corresponsione di pensioni o simili, cosa ne pensa?
La donna passerebbe tutto il tempo a casa, sarebbe una morte civile. Posso capire che nessuno è capace di curare così bene come il proprio parente, la moglie, le figlie, ma in questo modo il sacrificio delle donne sarebbe grandissimo. La storia della nostra cooperativa è esattamente il contrario: professionalizzare il lavoro di cura, non privatizzarlo chiudendolo nelle case. Noi lo vediamo nei familiari degli utenti, per esempio, affetti da Alzheimer, sono situazioni logoranti in modo impressionante.
Oltre alle case-residenza per gli anziani e disabili, gestite asili nido per conto degli enti pubblici, ce ne può parlare?
Negli anni abbiamo costruito tanti tipi di servizi, da quelli per la prima infanzia, quindi gli asili nido, fino alla cura degli anziani. Sono varie le forme con cui gestiamo gli asili nido. Quelli più importanti sono quelli che noi gestiamo globalmente, ma sempre per conto dell’ente pubblico. Le faccio l’esempio del comune di Bologna, che aveva bisogno di sei asili nuovi, il comune ha fatto nel corso degli anni dei bandi, in cui chiedeva ai partecipanti di fare una proposta per la costruzione e la gestione di questi asili. Noi abbiamo partecipato e li abbiamo vinti insieme ad altre cooperative bolognesi che si occupano delle costruzioni e della ristorazione. Abbiamo costruito gli asili e li gestiamo noi, i bambini pagano le stesse tariffe comunali e vengono iscritti attraverso le graduatorie comunali. Lo scambio con la Pubblica Amministrazione è questo: noi abbiamo fatto l’investimento, noi abbiamo messo per ogni servizio più di un milione di euro e il comune ci restituisce l’investimento fatto attraverso le rette che paga per ogni bambino iscritto. Questo ha consentito al Comune di poter fare il servizio, senza dover fare l’investimento, noi avevamo disponibilità economica, perché negli anni, con la nostra attività, avevamo accantonato gli utili per poterli reinvestire, così come prescrive la legge sulla cooperazione.
Molte cooperative in Italia studiano il modello bolognese ed emiliano delle cooperative come spiega questa evoluzione, che come sa esiste in tutta Europa, e come mai si è sviluppato nel territorio emiliano nella forma più positiva?
In effetti, il territorio dell’Emilia ha la più forte concentrazione cooperativa di tutta Europa. Si stima che un cittadino su due sia socio di una cooperativa in Emilia. Storicamente le prime cooperative emiliane sono quelle di consumo e sono quelle cooperative che nascono con l’emancipazione dei lavoratori, insieme ai sindacati, insieme alle associazioni, perché sono una delle forme di organizzazione dei lavoratori. All’inizio erano legati ai movimenti socialisti, probabilmente era una terra che, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, aveva questa vocazione, sono nati qui alcuni movimenti sociali importanti tra cui quello cooperativo. L’idea della cooperativa, quando rimane fedele ai suoi principi, rispecchia un’idea di democrazia e di autorganizzazione dei lavoratori.
La formula cooperativa è quella che regge di più alla crisi?
Si, è vero, soprattutto per il livello occupazionale e del fatturato, cede sull’aspetto di utile che si ricava, ma tiene sull’occupazione di tutti anche a costo di non avere le posizioni, se tagliano i servizi, ma perché la cosa più importante è il socio. Cadiai come forma giuridica è una cooperativa di lavoro. Noi oggi abbiamo 1270 lavoratori, i soci sono 850, 400 non soci, non è obbligatorio essere soci per lavorare in cooperativa. È importante sottolineare la forma di gestione democratica: noi a maggio andremo a votare per ricomporre il consiglio, che è tutto dimissionario compresa io che sono la presidente. Ci sarà una commissione che andrà a cercare i candidati in tutti i nostri servizi. Io, come l’ultima persona che è entrata come socia, versiamo la stessa quota sociale, quindi in teoria abbiamo la stessa possibilità di essere presidente di questa cooperativa. Poi ci sono le regole definite nel regolamento elettorale che tutelano un principio cardine come è quello della democrazia.
L’83 per cento delle vostre socie sono donne. Avete un codice etico per le pari opportunità?
Rispetto a questo noi stiamo cercando di cogliere tutto quello che sia possibile per garantire le pari opportunità. Abbiamo bisogno di politiche particolari perché la nostra attività è quella che assicura pari opportunità per le altre donne. Mi spiego, noi lavoriamo negli asili che consentono alle altre donne di andare a lavorare, facciamo l’assistenza domiciliare che consente alle donne di non occuparsi tutti i giorni del loro caro non autosufficiente. Le nostre politiche di conciliazione diventano davvero complicate. Noi cerchiamo di lavorare sulla definizione dei turni di lavoro in modo tale che le persone riescano a trovare punti di conciliazione più favorevoli possibili per garantire tutte le opportunità.
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