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Separazione: chi mantiene i figli?

Separazione: chi mantiene i figli?

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Natalia Maramotti Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007

Ci siamo occupate, qualche numero addietro, della disciplina introdotta dalla legge 54 del 2006 in merito all’affidamento dei figli/e in caso di separazione dei coniugi. Avevamo ricordato che la differenza più saliente rispetto alla precedente normativa in materia riguarda l’introduzione del principio secondo cui l’affidamento condiviso, da parte di entrambi i coniugi, dei figli/e diviene la regola; è solo l’accertamento della contrarietà all’interesse del /della minore che può portare all’affidamento esclusivo. Ma cosa dicono le disposizioni normative, introdotte ormai da quasi un anno, sul mantenimento dei figli/e? Si prevede che, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provveda al mantenimento in misura proporzionale al proprio reddito. Ove necessario il giudice stabilisce invece la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: le attuali esigenze del figlio/a; il tenore di vita goduto dal figlio/a in costanza di convivenza con entrambi i genitori; i tempi di permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Il fatto che la normativa individui ora criteri guida per la determinazione dell’assegno pare una delle innovazioni maggiormente apprezzabili, in particolare nel momento in cui si avvalora economicamente l’attività di cura svolta da ciascun genitore. Ciò significa collocare il c.d. lavoro di cura, da sempre confinato nell’ambito di ciò che esula dall’economia, con piena legittimazione tra le attività umane suscettibili di una valutazione economica, sia mediata, in quanto la cura crea capacità umane, sia immediata. Visto che la cura nel nostro paese è ancora una “roba da donne” significa anche evitare una mistificazione , immaginando un inesistente equilibrio tra l’apporto materno e paterno in questo particolare ambito della relazione genitoriale. Apprezzabile è anche la previsione secondo la quale, qualora le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi. La disposizione normativa ha una importante ricaduta “di genere” di tipo differenziato; sono i dati statistici che ci rimandano una condizione di discriminazione salariale delle donne, d’altro canto è nell’esperienza di avvocate /i che assistono le donne la difficoltà di accertare le reali capacità di reddito degli ex mariti. Pur tra le molte ombre della normativa di cui stiamo parlando è dunque confortante rilevare come si sia preso atto della condizione reale delle donne, nel nostro paese, rispetto al lavoro ed alla capacità di reddito conseguente: è bene ricordare infatti che le donne svolgono, anche quando dispongono di un titolo di studio più elevato di quello degli uomini, professioni o lavori meno prestigiosi o meno redditizi ed hanno meno garanzie di continuità dei contratti.

(27 febbraio 2007)

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