Martedi, 25/02/2014 - Dove l’abbiamo già cercata? Forse nel 25 marzo 1957, con la promozione nel Trattato di Roma dell’“Equal pay for equal work”? Forse nel 10 febbraio del 1975, con l’approvazione della prima direttiva dedicata alla “Gender Equality”? Di sicuro anche nel 17 luglio 1979, con l’elezione di Simone Veil a prima donna Presidente del Parlamento Europeo, e poi nell’Agenda della Piattaforma di Pechino per l’empowerment di genere (1995), nella Comunicazione della Commissione Europea sul mainstreaming (1996), nell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (1999), nella Strategia Quadro per l’uguaglianza fra donne e uomini (2000), e ancora nel 5° Programma d’Azione per l’Uguaglianza di Genere (2000), nella Roadmap per l’uguaglianza (2006), nell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009), nell’istituzione dell’European Institute for Gender Equality (2010), nell’adozione della Strategia per l’uguaglianza fra donne e uomini 2010-2015 e nella Women’s Charter (2010). Eppure, niente da fare. Quella “esse” proprio non si trova. Così dalla nascita dell’Unione Europea ad oggi, la condizione delle donne in Europa, e in Italia su tutti, rimane “senZazionale” più che “senSazionale”: senza una pervasiva tutela del diritto all’istruzione e alla formazione; senza una sufficiente e soddisfacente partecipazione al mercato del lavoro; senza una solida indipendenza e sicurezza economica; senza una duratura e compiuta garanzia del diritto all’autodeterminazione; senza chances paritarie di accesso alla gestione della res politica ed economica; senza un’equilibrata distribuzione del tempo fra le sfere del dovere, del volere e dell’essere; senza la certezza di diritti e salute sessuali e riproduttivi; senza una radicale e radicata liberazione da norme, atteggiamenti, stereotipi, comportamenti e violenze di genere. Talmente senza, che anche il tentativo di perimetrare un framework europeo, concettuale e metodologico per armonizzare le rilevazioni statistiche sulla violenza di genere attraverso la futuribile European Safety Survey (SASU), è naufragato: nel settembre del 2012, il Parlamento Europeo ha notificato alla Commissione di aver rigettato questa proposta, a cui la rassicurante obbligatorietà di un Regolamento avrebbe garantito tempistiche stringenti, coerenza, qualità e comparabilità di metodo e contenuto trasversali a tutti i Paesi dell’Unione Europea.
Dove cercare dunque ancora quella introvabile ed indispensabile “esse”, per rendere la condizione delle donne non più “senZazionale” ma “senSazionale” nella sua “uguale differenza”? Nel semestre italiano, forse? Certo lo vogliono Donne e Associazioni di Donne come la Casa Internazionale delle Donne e l’UDI, che il 19 febbraio hanno incontrato delegati/e dell’EIGE per discutere di priorità politiche e opportunità programmatiche da consegnare al semestre italiano, semestre da orientare, monitorare e valutare strenuamente in ottica di genere. E, certo, vogliono più che mai un processo trasparente, democratico e partecipato anche e soprattutto nell’iscrizione nel bilancio dell’Unione della disponibilità di stanziamenti per le priorità politiche individuate dalle donne, con le donne e per le donne. Agende di parole non sono più sufficienti. Senza stanziamenti da finalizzare, la gender equality diventa un moleskine in tasca senza un mondo da conquistare.
Lascia un Commento