La scorsa settimana a Salerno si è verificato l’ennesimo episodio di sangue che ha visto come vittima una donna, Elettra Russo. Il suo ex compagno, Antonio Farina, al culmine di una situazione fatta di litigi, maltrattamenti e contese sulla figlia, data in assegnazione alla madre, l’ha uccisa con tre colpi di pistola ed immediatamente dopo si è suicidato rivolgendo l’arma contro di sé. Non entro nel merito della storia che ha visto come protagonisti Elettra ed Antonio, ma volgo lo sguardo alla ragazzina tredicenne che aveva tentato di coinvolgere amici e professori nella vicenda che riguardava i suoi genitori. La figlia, difatti, era ben consapevole che la madre da sola non potesse uscire da quel clima di violenza, perché era legata a doppio filo con l’uomo. Elettra aveva tentato di resistere alle vessazioni di Antonio consigliandogli, finanche, di rivolgersi ad uno psicologo, allorquando si era resa conto di non avere gli strumenti per risolvere l’ostilità che l’ex compagno aveva nei suoi confronti. Pian piano era diventata pure conscia che era necessario porre un argine netto al dirompente dilagare delle intimidazioni e si era convinta di sporgere denuncia per stalking. Aveva trovato in sé il coraggio di andare in questura e lì le avevano consigliato di presentarsi con un esposto circostanziato preparato da un legale. Ma il tempo è corso troppo velocemente perché la morte l’ha raggiunta prima di poter ritornare dalle forze dell’ordine. Di fronte a questa donna e al lento cammino di consapevolezza verso una possibile soluzione ai suoi problemi c’era una ragazzina che, con una lucidità maggiore della madre, sin troppo coinvolta nella vicenda, aveva tentato di lanciare messaggi d’aiuto, coinvolgendo le sua amiche più strette e finanche una professoressa. So che è inutile cambiare i connotati ad una storia che ha già esaurito tutti i suoi sviluppi, ma immagino cosa sarebbe potuto succedere se le istituzioni scolastiche, avessero, ad esempio, coinvolto per tempo i servizi sociali. Ci sarebbero stati controlli, ispezioni e, che so, sarebbe intervenuto il Tribunale dei minorenni o un’altra istituzione. Il padre avrebbe ipoteticamente dovuto seguire un percorso terapeutico per poter continuare ad avere contatti e relazioni con la figlia e l’ex convivente e chissà che non ci saremmo ritrovati di fronte ad una risoluzione della conflittualità del caso. È un’ipotesi ma, anche se è tale, l’ottimismo del cuore mi induce a credere che questa storia potesse avere altri esiti. Poi, però, smetto di immaginare, apro gli occhi e mi ritrovo di fronte ad una realtà fatta di istituzioni pubbliche o private slegate tra loro, impotenti a creare quella “rete” a maglie strette che consentirebbe di fungere da opportuno salvataggio a gran parte delle vittime di questi casi. La vicenda salernitana ne ha già fatto due, Elettra ed Antonio, ragion per cui sarebbe necessario che la figlia venga protetta da quelle stesse istituzioni che si sono dimostrate impotenti nei riguardi dei suoi genitori. Mi sento di paragonare quella ragazzina ad un’acrobata che, volteggiando nell’aria con la leggerezza tipica della sua età, tenta di afferrare l’altro trapezio, quello che le consentirebbe di scendere in pista. È troppo giovane ed inesperta ed il suo tentativo va male, ma c’è la rete che le salva la vita. Il compito di chi dovrà decidere le sorti di un’orfana di entrambi i genitori, allorquando si deciderà del suo affidamento, sarà necessariamente quello di considerare nel loro giusto valore le sue più che legittime aspettative. La sconfitta della madre non può essere pure la sua, ha tutto il diritto di essere aiutata a risalire la china per provare a vivere un presente e un futuro nuovo, fatto sì di dolore per la perdita del padre e della madre, ma pure di speranza in un mondo migliore per sé stessa e per chi avrà accanto in questo sofferto e delicato momento della sua vita.
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