La donna del mese - Icona del movimento democratico afgano, dirige l'organizzazione Hawca
Pisani Giuliana Giovedi, 10/12/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2009
Hawca, l’organizzazione diretta da Selay Ghaffar, nasce nel 1999, quando l’Afghanistan era sotto il regime talebano, con lo scopo di innescare un processo di empowerment delle donne, a favore di uno sviluppo democratico nazionale. I continui conflitti nel Paese hanno ostacolato il processo di emancipazione femminile, determinando 5 milioni di rifugiati in Pakistan, dove Hawca è riuscita ad attivare programmi di alfabetizzazione per donne e bambini. Nel 2001 il collasso del regime talebano è stato festeggiato da manifestazioni di solidarietà oltre confine contro ogni forma di discriminazione e di violenza. Da allora, Hawca ha avviato progetti di assistenza legale, sanitaria e di formazione professionale a donne e bambini, principali vittime di violenze psicologiche e fisiche che puntano ad educare alla pace e alle libertà. Alle donne sono dedicati anche corsi di educazione sessuale, affinché si accresca la consapevolezza di sé, in quanto ancora assoggettate alla figura maschile. Il divieto di mostrare il viso in pubblico, di sottrarsi a rapporti sessuali o di contestare le decisioni del consorte riducono la donna ad una dimensione di “appendice” del proprio uomo. Hawca è decisa a rimodulare questa tradizione culturale, anche grazie all’aiuto di organizzazioni straniere, a promozione di una cultura nuova di stampo femminista.
Selay Ghaffar come Malalai Joia: icone del movimento democratico afgano, paragonate a Aung San Suu Kyi in Birmania. Che significa essere attivista dei diritti umani in Afghanistan?
Il movimento femminista in Afghanistan si è affermato nel 1999, eppure i media occidentali indicano il 2001 come data iniziale. Malalai ed io siamo “rivoluzionarie” perché lottiamo per la libertà nel nostro Paese. Lotta datata anni Novanta, quando dopo l’invasione sovietica del 1989 sono seguite due guerre civili quella dei mujahideen e dei talebani, che hanno devastato il Paese, e “annullato” il ruolo della donna nella comunità. L’odierno Afghanistan è, così, il prodotto di conflitti intestini e di una cultura maschilista, che condiziona anche la politica. In Parlamento, ad esempio, è riservata una quota rosa del 25% dei seggi, e del 30% per gli impieghi ministeriali, ma è consentito ricoprire questi ruoli solo a donne legate al partito fondamentalista, rassegnate alla violazione dei diritti umani in generale. Ecco perché Malalai è stata espulsa dal Parlamento. Lei rappresenta la “voce della verità”! Si è opposta a queste regole, denunciando gli intrallazzi interni al governo. Per fortuna Malalai non è sola in questa battaglia per la democrazia reale! Può contare sul sostegno di altre donne, alcune giudici, per arrestare le ingiustizie nel nostro Paese.
Il 7 novembre 2009 si svolge il ballottaggio per le presidenziali tra Hamid Karzai, già in carica, e Abdullah Abdullah. Quali sono le sue aspettative in merito?
Le presidenziali afgane riscuotono grande interesse internazionale, perché si vota per la seconda volta dal 2004. Le elezioni sono, in realtà, una farsa e servono come vetrina dell’efficacia della presenza delle forze internazionali in Afghanistan! Gli elettori chiamati a votare sono circa il 50% della popolazione, e la maggioranza è vittima di pratiche clientelari: promesse di posti di lavoro, corruzione per denaro. Voti comprati insomma! Non credo, quindi, che venga eletto un presidente che possa effettivamente tutelare la “democrazia” nel Paese. Negli ultimi sette anni Karzai, ad esempio, non ha certo risollevato le condizioni di vita della popolazione, anzi l’ha lasciata sprofondare nella miseria determinata da uno stato di guerra permanente, dove la questione “sicurezza” è rimasta aperta e la stima dei rapimenti dei bambini e della violenza sulle donne è aumentata di anno in anno. Karzai avrebbe dovuto essere l’alternativa ai talebani, invece questi ancora dettano legge! Infatti, se la vittoria di Karzai da un alto assicura la partecipazione delle donne alle funzioni pubbliche, dall’altro garantisce un “patteggiamento” con le fazioni radicali riducendo le stesse quote rosa dal 30% al 25%. Al contempo, il candidato rivale Abdullah Abdullah non è certo migliore: è un criminale coinvolto nella guerra civile del 1992-1996. Alla luce di ciò, mi chiedo chi dei due rappresenti il “male minore”, soprattutto per la condizione delle donne nel Paese, dove vige un regime di totale impunità! Necessita una rivoluzione culturale che dia gli strumenti al popolo afgano per scegliere con coscienza il proprio presidente, e decidere autonomamente il proprio futuro!
Quale messaggio vuole trasmettere alle attiviste dei diritti umani nel mondo?
Uniamo le forze! Prendiamoci per mano, e creiamo una catena che si stringa intorno ai criminali! Sbattere una sola mano produce un lieve rumore, mentre quando ne sono due il suono diventa più acuto e forte. Faccio appello alla creazione di un movimento internazionale di donne, confidando che al più presto sia emessa una sentenza di un tribunale penale internazionale che ponga fine alle prassi di ingiustizia e di impunità!
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