- Promotore di un’identità cristiana che ha senso solo nella relazione, papa Bergoglio mette in crisi le certezze
Stefania Friggeri Sabato, 31/01/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2015
La denuncia di papa Francesco delle condizioni drammatiche in cui vivono milioni di esseri umani non rappresenta una novità dottrinaria: la “Centesimus annus” di Woityla richiamava con durezza i potenti della terra a soccorrere le popolazioni del Terzo mondo, e papa Ratzinger nella “Caritas in veritate” si era espresso sul bisogno di coniugare la carità con “la verità di un giusto vivere sociale”. Ma con Bergoglio se non cambiano le parole, cambia la musica. Come è apparso evidente anche dalla lettura dell’ “Evangelii Gaudium”, il manifesto programmatico del suo pontificato. Quando ad ottobre si sono riuniti in Vaticano i rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mondo mettendo insieme esperienze laiche e religiose, il “Fatto quotidiano” del giorno 20 ha titolato: “Zapatisti, marxisti e indignados tutti dal papa: “Amo i deboli” (e sotto:) In Vaticano i movimenti mondiali terreno una volta arato dalla sinistra.” Ma Bergoglio, sia a chi lo temeva come un rivoluzionario sia a chi lo voleva arruolare come un ribelle, ebbe a dichiarare: “non sono un comunista”; e rivendicò con fermezza la sua fedeltà al messaggio evangelico: “I poveri sono al centro del Vangelo di Gesù”. E la voce dei poveri è risuonata forte in Vaticano dove, come in una Porto Alegre romana, si sono ritrovati per dibattere in un orizzonte planetario i rappresentanti di ideologie e pratiche le più diverse: dai cartoneros argentini agli steelworkes statunitensi, dai campesinos agli affiliati del Leoncavallo, dai sem terra brasiliani ai cubani del centro Martin Luter King, dai sostenitori della causa palestinese ai Riciclatori del Sudamerica e così via. Il presidente Evo Morales ha proposto di “uscire fuori dal capitalismo” ed ha firmato convinto l’appello in favore della Ri-Maflow, la fabbrica recuperata dai lavoratori di Milano, un’operazione straordinaria che nel settore agricolo ha investito anche la cascina Mondeggi e la fattoria Genuino Clandestino. Il tema dell’incontro si può sintetizzare i tre punti: lavoro, terra, casa; tre soggetti su cui papa Francesco si è espresso con “parole che non rimandano ad un al di là, ma a questo mondo e a questa vita” (Revelli). Sul lavoro il papa ha detto: “Non esiste peggiore povertà materiale di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro”. Parlando della terra, nel duplice significato di ambiente e di suolo lavorato dai contadini, Bergoglio ha detto che occorre combattere “lo sradicamento di tanti fratelli contadini” causato dall’avidità del denaro, germe nefasto della deforestazione, dell’accaparramento delle terre e dell’acqua, dell’uso di pesticidi non appropriati. Sulla casa, dopo aver dichiarato che un’abitazione adeguatamente attrezzata è un diritto, ha promosso un modello dell’abitare ispirato alla solidarietà, a pensare ed agire in termini di comunità: “lo spazio pubblico non è un mero luogo di transito, ma un’estensione della propria casa, un luogo dove generare vincoli con il vicinato... Odorate di quartiere, di popolo, di lotta … Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati ed inoffensivi”. L’iniziativa di Bergoglio di appoggiare chi sta sperimentando processi economici alternativi al capitalismo, offrendo una sponda a realtà che fino a ieri guardavano a sinistra, se da un alto crea la speranza di poter contare sull’influenza della chiesa perché movimenti organizzati dal basso possano coinvolgere le strutture di governo, dall’altro crea sconcerto e confusione in molti fedeli e religiosi. Ma un papa anche solo schiettamente riformista, non rivoluzionario, spaventa molti di quelli che stanno in alto (nella Curia e non solo) e preferiscono ignorare lo “scisma sommerso”che ha svuotato le chiese. Forse si illudono di poterlo affrontare riproponendo ai fedeli il modello agostiniano, ma Vito Mancuso li avverte con queste parole: “S. Agostino diceva che non avrebbe potuto credere al vangelo se non l’avesse spinto l’autorità della chiesa cattolica … Oggi questo modello sta morendo, l’epoca della fede dogmatico-ecclesiastica che implica l’accettazione di una dottrina e di un’autorità è ormai alla fine”. E a chi teme che le riforme di Francesco possano inquinare l’identità cristiana, il teologo replica così: “l’identità cristiana … è ‘essere per’, prende senso solo nella relazione, così come il sale ha senso solo in relazione al cibo e il lievito alla farina … Il cristianesimo vive della logica della relazione con l’alterità e tale logica lo spinge inevitabilmente verso la riforma”. Quanto sia importante la prassi della relazione per la chiesa cattolica papa Francesco l’ha ripetuto anche a maggio aprendo i lavori alla C.E.I, dove ha sottolineato l’esigenza che i vescovi non si fermino al piano “pur nobile” delle idee, ma sappiano entrare nella realtà con gesti concreti, offrendo un contributo ai derelitti affinché trovino una via d’uscita dalla situazione che li tormenta. Che vuol dire: creare intorno a sé una comunità, valorizzare anche il ruolo dei laici, delle donne e dei giovani, mettersi di fronte all’umanità sofferente nella sola veste di discepoli di Cristo. Ma il suo richiamo alla “eloquenza dei gesti” che testimoniano la rinuncia alla pompa, al potere, all’autismo, unito all’elenco degli errori di cui i pastori sono chiamati ad emendarsi, ha messo in evidenza la dissonanza tra Bergoglio e una parte dei vescovi italiani. Che gli rimproverano semplicismo, demagogia e scarsa profondità teologica. Parecchi si sono rifugiati in un attendismo prudente, altri, ma pochi, sono apertamente critici, anche perché oggi la popolarità di papa Francesco è tale che molti conservatori non si permettono di attaccarlo in modo manifesto e preferiscono rimanere inerti e passivi in attesa di tempi migliori. Forse non conoscono o non ricordano le parole di un giovane che il cardinal Martini ha riferito nelle sue “Conversazioni notturne a Gerusalemme” : “Non so che farmene della fede. Non ho nulla in contrario, ma cosa dovrebbe darmi la Chiesa?”.
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