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Se non ora quando/2 - Linda Laura Sabbadini

Se non ora quando/2 - Linda Laura Sabbadini

Intervento a Siena 9 luglio 2011, SE NON ORA QUANDO

Lunedi, 11/07/2011 - Lavoro all’Istat dal 1983, sono entrata con un concorso per licenza media, non ero ancora laureata. L’istituto era ancora in gran parte economico-centrico, non si poneva il problema di adottare un approccio di genere. Se centrali erano le politiche economiche, centrali diventavano le statistiche economiche e conseguentemente i cosiddetti soggetti produttivi, i maschi adulti; le donne erano invisibili, il lavoro non retribuito non veniva misurato. Ora siamo negli anni 2000 però e tutto è cambiato. C’è stata una vera e propria rivoluzione nelle statistiche ufficiali e non solo grazie a chi ha lavorato su questo all’Istat, ma a tutte le donne che ci hanno creduto, a quelle delle associazioni, dei partiti sia di centro sinistra che di centro destra, alla Commissione Nazionale di Parità e a tutti gli organismi di parità, alle Ministre delle Pari Opportunità che si sono susseguite negli anni, appartenenti a tutti gli schieramenti, tutte fortemente motivate. Oggi sappiamo moltissimo sulla condizione delle donne: la misura del lavoro di cura o della violenza sulle donne è statistica ufficiale, le dimissioni in bianco sono statistica ufficiale. Le statistiche di genere si sono notevolmente sviluppate, sono un patrimonio di tutto il Paese. Ora che le abbiamo, dobbiamo però anche utilizzarle e saperle utilizzare. Le statistiche di genere servono a capire la realtà e a trovare le strade per migliorarla, sono la base per esempio per i bilanci di genere, per valutare se le leggi agiscono in modo differente su uomini e donne e in che misura. Ma guai a usarle in modo parziale, distorto e a strumentalizzarle, perderebbero il loro valore. Bisogna utilizzarle per capire, non per ricercare supporto ad idee già fatte a priori. Dobbiamo essere pronte a riconoscere gli avanzamenti quando ci sono, così come gli arretramenti, dobbiamo liberarci dalle visioni ideologiche quando le analizziamo.

Sono venuta qui come direttrice centrale dell’Istat per portare un contributo di conoscenza sulla vita delle donne, come faccio sempre in tutti i consessi delle donne e più in generale dei cittadini che lo richiedono. Ognuna di noi conosce un pezzo di realtà frutto della sua fondamentale esperienza diretta, io cercherò di descrivere la realtà variegata e complessa della vita delle donne, così come si desume dalle statistiche ufficiali. Ho poco tempo per farlo, mi scuso in anticipo se non riuscirò ad essere esaustiva.



LA SITUAZIONE DELLE DONNE E’ CRITICA NEL NOSTRO PAESE.

Meno di metà delle donne lavora, al Sud neanche un terzo. Siamo uno dei fanalini di coda dell’Europa per tasso di occupazione femminile. Lo sono le italiane e lo sono le immigrate che presentano un tasso più basso delle italiane quando hanno figli perché non hanno una rete familiare che le supporta. La disoccupazione femminile è più alta di quella maschile (9,7% contro 7,6%) e a questa si aggiunge lo scoraggiamento di chi non trova lavoro e smette di cercarlo, soprattutto al Sud. Le donne hanno più lavori a tempo determinato o collaborazioni e questa situazione si protrae nel loro caso per periodi più lunghi. A parità di titolo di studio conseguito le donne guadagnano meno degli uomini. Tra le laureate che svolgono un lavoro alle dipendenze la differenza è del 21% (1.532 vs. 1.929 euro la retribuzione netta mensile). Il 40% delle laureate svolge un lavoro non adeguato al titolo di studio conseguito, contro il 31% dei laureati. Il part time è cresciuto soprattutto tra le donne, ma non è il part time liberamente scelto a crescere: in Italia abbiamo una presenza quasi doppia di part time involontario rispetto all’Europa (il 42,7% contro 22,3%) il che fa ipotizzare che in Italia il part time sia meno utilizzato per la conciliazione dei tempi di vita e più dal lato delle imprese. La presenza delle donne nei luoghi decisionali è bassa, soprattutto in quelli economici e politici e i mutamenti, quando ci sono, sono molto lenti e frutto di grandi fatiche delle donne. Con la crisi non solo è diminuita l’occupazione femminile ma è peggiorata la qualità del lavoro. Nel 2010 a fronte della stabilità dell’occupazione femminile è scesa l’occupazione qualificata e tecnica (-109 mila), quella operaia (-75 mila), ed è aumentata quella non qualificata (+108 mila) soprattutto colf e assistenti a anziani. Con la crisi l’industria in senso stretto, il settore economico che è più maschile dopo le costruzioni, ha visto una maggiore perdita di occupazione in proporzione tra le donne che tra agli uomini (-12,7% contro -6,3% nel biennio 2009-2010) e non solo nel tessile e nei settori con maggiore presenza femminile ma anche nel metallurgico.

Le giovani presentano percorsi di vita più variegati ma difficoltà crescenti ad uscire dalla famiglia di origine. Vivono di più da sole, sperimentano di più la convivenza, ma ritardano l’uscita dalla famiglia in gran parte per difficoltà economiche Basta pensare che le donne con contratti a tempo determinato o di collaborazione sono il 48,2% fino a 24 anni (contro il 41,4% dei coetanei) e il 22,2% tra 25 e 34 anni (13,5% i maschi). La presenza maggiore di lavori a tempo determinato e collaborazioni tra le donne giovani non crea un terreno favorevole alla decisione di avere un figlio che viene rinviata ad età più avanzate anche se lo si desidera e a volte al rinvio segue la rinuncia ai propri desideri.

E questo del rapporto tra maternità e lavoro continua a configurarsi come uno dei problemi più critici. I tassi di occupazione continuano a risentire dei carichi familiari e si riducono all’aumentare del numero di figli: nel passaggio da 0 figli a un figlio il tasso di occupazione cala di 5 punti, da 0 a 2 figli di 10 punti, da 0 a 3 o più figli di 23 punti per le donne di 25-54 anni; negli altri paesi europei, la criticità emerge di più al terzo figlio. La divisione dei ruoli è ancora rigida all’interno della coppia, le donne assorbono il 72% delle ore di lavoro familiare della coppia e lavorano 9 ore in media al giorno, un’ora in più degli uomini. Il contributo degli uomini al lavoro familiare, continua ad essere molto contenuto, ciò crea un notevole sovraccarico sulle donne lavoratrici; la rete dei servizi sociali, soprattutto quelli per la prima infanzia è carente, nonostante la crescita di questi anni, e al di sotto delle necessità delle donne che lavorano, e costosa; la rete informale, specie quella familiare, continua ad essere fondamentale per le donne che lavorano, basti pensare alle nonne, e al contributo che danno, ma è sempre più sovraccarica; le donne, dedicano più di 2 miliardi di ore di lavoro di cura per altre famiglie in un anno, hanno sempre meno tempo da dedicarvi e raggiungono meno persone da aiutare; il che sta a significare che le donne sono un vero pilastro del sistema di welfare ma che non ce la fanno più a svolgere questo ruolo. Continuano a verificarsi casi di interruzioni del lavoro o di licenziamenti/dimissioni di donne in gravidanza. Sono 800 mila (pari all’8,7% delle donne che lavorano o hanno lavorato in passato) le madri che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere dal datore di lavoro, nel corso della loro vita lavorativa, a causa di una gravidanza. Solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro ha poi ripreso l’attività. il fenomeno è in crescita.

Ma i dati non dicono solo questo. I dati ci dicono che le donne hanno una grande forza. Hanno rivoluzionato il mondo della scuola e dell’università, dallo svantaggio in pochi decenni si è passati al sorpasso. Ciò è avvenuto negli anni Ottanta per le scuole superiori e negli anni Novanta per l’università. Le donne sono entrate nei corsi tradizionalmente più maschili, la segregazione di genere nelle facoltà è diminuita anche se non si è arrivati ancora ad un completo equilibrio. Hanno risultati migliori, ci mettono meno tempo a finire gli studi, sono più costanti e perseguono l’obiettivo con più determinazione. Investono di più in cultura, vanno di più a teatro, al cinema, specie se giovani o lavoratrici, a concerti, leggono più libri. Anche nel lavoro, nonostante tutti i problemi che abbiamo visto, soprattutto nel Centro Nord è cresciuta l’occupazione femminile a partire dal 1995 e si è arrestata solo con la crisi. Le donne sono entrate in tutti i tipi di lavoro, anche nelle posizioni più alte. Sono cresciute le dirigenti, le libere professioniste e le imprenditrici, sono diminuite le coadiuvanti familiari. È cambiato il modello di partecipazione femminile al lavoro. Oggi le giovani entrano nel mercato del lavoro più tardi proprio nel momento in cui le precedenti generazioni ne uscivano per matrimonio o per nascita dei figli, ma con un livello di competenze ed una determinazione a rimanervi per il futuro molto più alto del passato. Nel nostro Paese le donne sono andate avanti in questi anni per strategie individuali, investendo su sé stesse, in formazione, in cultura, prendendo coscienza del proprio valore, nonostante tutte le difficoltà. Hanno cercato di far fronte al sovraccarico di lavoro di cura tagliando sul numero di ore di lavoro familiare che dedicavano agli altri. Il contributo che hanno dato e danno al Paese è enorme e molto visibile dai dati ufficiali. Sono andate avanti, nonostante tutto, ma con grande fatica. I risultati li hanno raggiunti, ma più lentamente e meno di quanto avrebbero dovuto.

Alla fine di questo mio intervento sento di dover dire che le donne devono essere coscienti che hanno una grande forza da non disperdere, devono saperla spendere, indirizzare. Ai governi e al Parlamento spetta un importante compito: operare con urgenza per uscire da questa situazione e rimuovere tutte le barriere che impediscono la valorizzazione delle risorse femminili. Questa deve diventare una priorità. In tutti questi anni è stato fatto troppo poco. È un obiettivo questo, ormai non più rimandabile, che deve unire tutto il Paese perché la rimozione degli ostacoli allo sviluppo delle potenzialità femminili, la crescita dell’occupazione femminile, una uguale presenza di donne e di uomini nei luoghi decisionali rappresenterà realmente un fattore di sviluppo del nostro Paese e darà a questo una spinta senza precedenti.

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