C'è stato un manifesto di chiamata a scendere in piazza il 13 febbraio, sì, è vero, forse poco ragionato, che poteva magari essere detto meglio, ma che forse proprio nella sua estemporaneità e nel suo essere lontano da lessici troppo sedimentati, ha avuto la sua efficacia. E' stato capace di parlare a una popolazione ben più vasta di quanto ci si aspettasse, più trasversale, che ha attraversato generazioni, generi e generalizzazioni.
Sono state tantissime le donne (e gli uomini) che hanno risposto a quella voce, come a una voce sguaiata di strada che ti chiama a scendere, ti chiede sostegno, ti chiede solidarietà e tu scendi senza porti problemi di eleganza, perché quando c'è un'emergenza scendi così come ti trovi, perché quello che conta è la tua disponibilità, la tua umanità, la tua intelligenza.
E quella voce è stata così ricondotta a discorso plurale dalla ricchezza dei messaggi che individualmente ciascuna ha recato con sé: un milione di donne e uomini, altrettanti cartelloni, messaggi, voglia di dire la propria personale ragione di adesione, di partecipazione. Una massa travolgente e compattamente rispettosa della dignità e della libertà di tutte le donne. Nessun messaggio contro le ragazze cui è stato insegnato che libertà vuol dire dare un buon prezzo alla propria dignità, ma una condanna unanime contro chi, possedendo potere e soldi, le usa per costruire la propria effimera idea di eternità cercando di esorcizzare la vecchiaia, la morte, il decadimento fisico, l'impotenza sentimentale e virile, attraverso la compravendita di corpi e pezzi delle istituzioni.
Niente puritanesimo, nessuna donna per bene contro le donne per male, ma un grido per interrompere questa stagione di decadenza civile.
Peccato che molte voci illustri di donne, che hanno costruito lo spessore del pensiero femminista in Italia, abbiano rinunciato a portare in piazza anche il loro personale contributo.
Ci sono mancate. Non sono state necessarie, per fortuna, ma sarebbero state importanti. Davvero peccato.
E più triste è pensare che le loro obiezioni, le loro prese di distanza dei giorni scorsi, abbiano fornito parole illustri a una parte politica solitamente povera di argomenti di spessore, rischiando l'autoavverarsi di una maledizione invocata.
Il numero e la qualità delle voci di donne ieri presenti in centinaia di piazze del Paese, hanno scongiurato questo rischio.
Abbiamo bisogno di noi.
Non è con le dimissioni del premier che risolveremo il problema, ma sarà un buon inizio.
Gli uomini che erano numerosi al nostro fianco ieri hanno compiuto un atto d'amore verso se stessi, verso la democrazia, prima ancora che verso le proprie compagne. E' un segnale politico e lo accolgo come una meravigliosa epifania: portiamo in piazza la capacità di sostenerci l'un l'altra che abbiamo costruito faticosamente dentro le nostre case.
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