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Se le teologhe alzano la voce

Se le teologhe alzano la voce

Misoginie - Per la Chiesa le donne non possono assumere ruoli di responsabilità, ma devono solo pregare ed ascoltare i maestri

Stefania Friggeri Venerdi, 11/05/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2012

Da “Eunuchi per il regno dei cieli”, della teologa Uta Ranke Heinemann, che offre una sterminata ed ineccepibile miniera di documentazione, si apprende che nelle “Costituzioni apostoliche (un testo del IV secolo che ebbe grande diffusione ed influsso perché si credeva scritto dagli apostoli) sta scritto : “Noi non concediamo che le donne esercitino nella Chiesa il ministero dell’insegnamento, esse devono solo pregare ed ascoltare i maestri. Poiché il nostro maestro e signore Gesù Cristo ha inviato soltanto noi dodici per amministrare il popolo e i pagani”. Sulla misoginia della chiesa primitiva, espressione di un clima culturale storicamente e socialmente arcaico, si è cementata nei secoli una tradizione inossidabile e ancora recentemente Benedetto XVI ha negato alla donna il diritto di accedere al sacerdozio ripetendo con accenti più diplomatici le motivazioni delle “Costituzioni”. Ma la fondatezza e la validità sul piano teologico di questa secolare tradizione comincia ad incrinarsi: insieme alla rivendicazione della loro autonomia e dignità le donne, e le teologhe in prima fila, chiedono al magistero di aprirsi e di rigenerarsi: ci sono momenti storici in cui le agenzie formative del senso comune sono chiamate ad assolvere una funzione storica di progresso, di promozione sociale, di civilizzazione. Perché se le donne potessero assumere ruoli di responsabilità e di prestigio anche all’interno della Chiesa cattolica, il messaggio sicuramente andrebbe a modificare l’immaginario collettivo diffuso nelle società patriarcali. La misoginia non ha alcuna giustificazione nel Vangelo, ma si è formata e cristallizzata nel tempo attraverso la suggestione nefasta dei Padri della Chiesa influenzati dalla cultura dell’area mediorientale e greca (in primo luogo Aristotele). Ad esempio, se per Aristotele il seme femminile è acquoso e dunque inadatto alla procreazione, Alberto Magno ne deduce che il seme di donna riceve la forma da quello maschile; se la forma sarà perfetta nascerà un maschio, se imperfetta nascerà una femmina. Cioè un essere che “ha in sé più liquidità dell’uomo…Il liquido è un elemento facilmente mutevole. Perciò le donne sono volubili e curiose”. Alla base della diffamazione della donna sta il meccanismo noto e ben descritto dagli psicoanalisti secondo cui, per liberarci dal senso di colpa ispirato da un desiderio che giudichiamo peccaminoso, colpevolizziamo la figura che ce lo ispira: qui è la donna, attraente e desiderabile, che, come testimoniato dal peccato originale, è più debole del maschio ma, a sua volta, ha il potere di indurlo in tentazione e di trascinarlo alla rovina. E infatti astutamente il demonio si è rivolto prima ad Eva “alla parte inferiore della coppia umana” (Agostino). Opinione confermata da San Tommaso alla cui autorità indiscussa di teologo dobbiamo la credenza che il demonio esercitasse il suo influsso soprattutto in campo sessuale, e questo dava conto del perché le donne, essendo lascive più dei maschi, si univano al demonio negli atti di stregoneria. Quale rimedio al peccato della lascivia? Il matrimonio riscattato dall’intenzione di dare un figlio a Dio e nel rispetto delle regole: la desessualizzazione della vita cristiana ha impegnato i teologi fino a tutta l’età moderna, stabilendo quando e come i coniugi potevano consumare il rapporto matrimoniale. Come? No al rapporto orale, anale, con la moglie sopra il marito. Quando? Tralasciando il tempo delle mestruazioni, dell’allattamento (il sesso rovina il latte materno), il rapporto era vietato nei “tempi sacri”: le domeniche, i quaranta giorni di Quaresima, venti giorni prima di Natale (e in alcuni luoghi prima di Pentecoste), durante le festività religiose (un tempo numerosissime), tre giorni prima di fare la comunione. Per un totale di cinque mesi. Di fronte alle lamentele la Chiesa reagiva col metodo abituale ed infallibile della paura: i trasgressori avrebbero avuto figli malati o posseduti dal demonio. Ma la rigorosa regolamentazione dei tempi venne progressivamente addolcita e nel 1556 il Concilio di Trento si limitò ad esortare i fedeli alla continenza, anche se rimase viva fino al XX secolo la raccomandazione ai coniugi di non accostarsi alla comunione dopo il rapporto sessuale. D’accordo, queste norme, e molte altre discutibilissime, vanno considerate e studiate nel loro contesto storico, ma possiamo trascurare quale influenza hanno avuto nel formare un diffuso modo di pensare e di sentire? Ma ormai nessuno le ricorda più, così come ci si è dimenticati di cosa c’era dietro alla caccia alle streghe che si fondava sul disprezzo della donna e, insieme, lo alimentava e giustificava. Ma perdere la memoria storica non aiuterà la Chiesa cattolica ad emanciparsi da quei lineamenti culturali retrogradi che penalizzano in primo luogo le donne. Perché nella storia della Chiesa l’atteggiamento verso il sesso (e dunque verso la donna!) si è espresso non solo nelle enunciazioni teologiche ma anche nella predicazione capillare sul territorio, radicando nell’opinione pubblica una mentalità e un senso comune intrisi di cultura sessuofobica e misogina. Da cui è lecito dedurre che se nel futuro un gay potrebbe diventare papa (ce ne sono già stati nel passato), mai una donna potrebbe diventare papa..













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