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Se la regressione è culturale

Se la regressione è culturale

Laicità - Solo una solida cultura laica può difendere le donne da leggi che, proclamando alti principi e valori non negoziabili, di fatto negano l’autodeterminazione femminile

Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007

Anche sul tema delle droghe i teodem sono riusciti non solo a creare l’ennesimo diverbio all’interno del centrosinistra, ma addirittura all’interno dei DS dove c’è stata una brutta frattura fra le onorevoli Serafini e Turco, rappresentante quest’ultima di quei cattolici “adulti” devoti in chiesa ma inaffidabili in politica. Grave questa diatriba “fra dame” soprattutto perché, essendo l’etica del Vaticano praticamente ristretta ai temi che toccano la morale sessuale e la famiglia, dunque soprattutto le donne, solo una solida cultura laica può difendere le donne da leggi che, proclamando alti principi e valori non negoziabili, di fatto negano l’autodeterminazione femminile. E invece ormai quasi tutto il mondo politico italiano aderisce al concetto di “sana” laicità evocato da Papa Ratzinger: la Binetti, membro dell’ Opus Dei e di Scienza e Vita, milita nel partito di Rutelli, che, quando ne era sindaco, ritirò il patrocinio della città di Roma al Gay Pride, a proposito del quale Amato disse: “la manifestazione è inopportuna, ma purtroppo in Italia c’è la Costituzione”. Ma la carica di sindaco deve essere fatale se Veltroni, che a suo tempo ha marciato con gli omosessuali, oggi vieta al V Municipio romano di aprire il registro delle unioni civili. Oggi infatti, in un clima di generale condiscendenza e arrendevolezza, le gerarchie vaticane si esprimono su ogni questione, compreso il caso Fazio, che non era certo un tema eticamente sensibile, ma toccava i rapporti di forza dentro un mondo bancario poco trasparente e poco affidabile. E ormai, dopo lo spoil system del governo Berlusconi, l’immaginario collettivo degli italiani viene quotidianamente suggestionato dai programmi di una Tv cortigiana, allineata e servile. Oltre alla spettacolarizzazione dei miracoli e delle apparizioni nelle reti Mediaset, i salotti, anche quelli della Rai, ospitano sempre un sacerdote, così da indurre nel pubblico l’idea che solo gli uomini di chiesa abbiano l’autorevolezza per dettare i fondamenti della legge morale. Ma togliere valore morale alle concezioni dei cittadini che non fanno discendere i loro principi dalla religione rappresenta una ferita alla democrazia e al principio d’uguaglianza, e spinge la cultura italiana verso quelle posizioni arretrate che aspirano a trasferire le norme religiose sul piano del diritto. Come accade in molte parti del mondo, ma non in Europa la cui storia sanguinosa testimonia lo sforzo secolare per la conquista della libertà di pensiero, a cominciare dalla libertà di religione. Una delle ragioni che spiegano la regressione culturale italiana, sta nella infelice conclusione dello scontro ventennale fra le due anime della Chiesa, disaccordo di cui sono testimonianza le parole del documento presentato al Convegno di Loreto, 1985, da un gruppo di 30 laici e religiosi: “Affiora una visione manichea della realtà: tutti i mali vengono dal laicismo, dal secolarismo, dal comunismo. La Chiesa manifesta un indebito senso del possesso e della totalità, con la presunzione di monopolizzare i valori etici e religiosi”. Ma fu proprio in quel convegno che Wojtyla , chiuso nel modello provinciale della sua esperienza polacca, impresse alla chiesa una direzione contraria a quella auspicata dal cardinal Martini: limitazione dell’autonomia dei soggetti temporali, guida dall’alto e centralizzata della Chiesa. Col sostegno di Ruini (Cei) e poi di Ratzinger (Congregazione della dottrina della fede). Tutte e tre queste figure, pur così diverse, temevano l’avvento di una nuova eresia: l’incontro fra cattolici e sinistra; che infatti ci fu e cui fu risposto promuovendo una nuova identità cattolica: movimentista, combattiva, non accomodante, come Comunione e Liberazione e l’Opus Dei.
Ma la Chiesa trionfante del nuovo secolo ha pagato a caro prezzo i frutti della campagna per portare sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica le diverse anime di una Chiesa spesso divisa e in crisi, ma comunque viva e dialogante: l’Avvenire di Bobba non ospita più le voci di Scoppola e dei pacifisti, ma le lettere di protesta di fronte al caso Welby dimostrano lo scollamento fra i palazzi vaticani e il sentire di “chi sta in basso”. Perché Roma non è la Chiesa e un certo spirito cristiano continua a scorrere per vie carsiche, e quindi talora riemerge chiedendo ai principi della Chiesa non parole di alta dottrina, ma la comprensione e il contatto con le persone che vivono la sofferenza. E il fatto che Ruini abbia dovuto pronunciarsi personalmente, motivando la sua posizione, è un primo segno di debolezza di quel “partito di Dio” che ha dimenticato che l’Europa, di cui si rivendicano le radici cristiane, è quella stessa che ormai da un pezzo ha detto no all’alleanza fra trono e altare.
(9 marzo 2007)

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