Login Registrati
Se la poesia diventa prostituta. O viceversa - di Luca Benassi

Se la poesia diventa prostituta. O viceversa - di Luca Benassi

"un bizzarro quanto arbitrario, maschilista e retrivo accostamento"...

Venerdi, 07/08/2009 -
Chi vaga nella rete in cerca di prostituzione o poesia non può non imbattersi nell’articolo di Claudio Di Scalzo, dal titolo: “Su Poetry Slam. Facciamo della poesia la più bella puttana (escòrt) che ci sia. Prima che sia mòrt”, il quale riprende e commenta la notizia apparsa su IO DONNA del 20 giugno 2009, riguardante il Milan Slam Poetry (l’articolo di Di Scalzo può essere letto su http://www.tellusfolio.it). Lo Slam Poetry è una sorta di gara poetica nella quale si sfidano poeti e poetesse che recitano i propri testi su un palco e che vincono per “acclamazione” del pubblico presente. Tale spettacolarizzazione del fatto poetico – con tanto di catodico applausometro - è importata dall’America, dove i poeti della beat generation usavano esibirsi in concerti poetici, eseguiti dandosi il tempo battendo sulle numerose bottiglie di birra scolate in precedenza. È possibile che gli avanguardisti marxisti italiani trovassero troppo proletarie le sfide poetiche dei cantori a braccio in ottava rima della tradizione nostrana, che ancora affollano i borghi contadini della nostra penisola, e adottassero le sfide poetiche d’oltreoceano per ridare valore all’oralità del verso, con qualche possibile ritorno economico dal banchetto con i libri degli autori coinvolti, posto in fondo alla sala dedicata agli slam.

Gli slam - sarà per il titolo in inglese – di solito hanno successo e gli organizzatori ne esaltano i pregi intrinseci del divertimento e della sfida, le capacità di rinnovamento delle patrie lettere, il ruolo coinvolgente della declamazione, la vetrina per le poetesse e i poeti (e per gli editori di questi). Di Scalzo non si limita a commentare la notizia del Milan Slam Poetry, uno dei più noti della penisola, ma ne esalta le virtù proponendone possibili sviluppi all’insegna dell’estrema spettacolarizzazione televisiva, dal “C’è posta poetica per te” al “Erotic Poetry Slam”, sublime intruglio di puro velinismo e poesia porno perversa, fino alla saldatura perfetta di parola e prostituzione dell’immagine di fronte a milioni di telespettatori, nell’essere umano nudo di fronte al pubblico.

Chi dunque, cercando sesso a basso costo o buoni versi, si imbattesse nell’articolo di Di Scalzo, rimarrebbe prima deluso poi – forse – perplesso. Poetesse e prostitute, invece, vi ritroverebbero un bizzarro quanto arbitrario, maschilista e retrivo accostamento, lesivo della propria dignità, capacità letterarie o d’intrattenimento, e appartenenza di genere. Eppure l’articolo appare condivisibile nella sua crudezza e ironia, attraverso una messa a nudo, mordace e sarcastica degli stereotipi televisivi, a partire da quelli sessuali, della vuotezza di programmi e palinsesti capaci di reggersi solo sui centimetri di pelle scoperta, fino a teorizzare un “Rinascimento al rovescio […] dove il sublime diventa rotocalco e il rotocalco diventa sublime di plastica.”. Tempo fa apparve su “la clessidra”, una quotata rivista di poesia contemporanea, un articolo di ben altra levatura e correttezza, nel quale si auspicava la soluzione dei problemi editoriali di poesia attraverso la pubblicazione da parte degli stessi editori di materiale pornografico di bassa lega insieme alla collane di versi. Come a dire, mettere insieme i due estremi di ciò che può uscire a stampa, di quello che è l’elevazione dello spirito e la degradazione dell’individuo. Si trattava in buona sostanza di una paradossale provocazione, come quella dell’articolo in questione. Di Scalzo se la piglia con il poetry slam di Milano, al quale chi scrive non ha assistito, ma dalla cui lista dei (soliti) nomi indigesti (fatti salvi Andrea Inglese, Tiziana Cera Rosco e Silvia Salvagnini) versi e interpretazioni memorabili non devono essere venute fuori. Lo stesso meccanismo dello slam dà l’impressione di trovarsi di fronte a una vetrina-baraccone, molto poco suggestiva e molto tanto artefatta, con quella tensione allo spettacolo, al momento di visibilità, alla ricerca dell’audience, tanto distante dalla tensione poetica quanto vicina allo schermo televisivo. La poesia finisce per prostituirsi per l’immagine di se stessa, rinunciando a quel valore che si trova nell’osso del linguaggio coltivato nell’ombra.

Dunque, poetesse e prostitute se la devono prendere con Di Scalzo? Con una maggiore accuratezza di sintassi e punteggiatura, levando qualche parolaccia fin dal titolo, ed eliminando l’inutile donnina ritratta a destra, l’articolo si potrebbe leggere come una bella prova di ironia e arguzia.



(4 agosto 2009)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®