Libri / 2 - “Madre piccola” di Cristina Ali Farah è una preziosissima opera di letteratura italiana che sperimenta linguaggi diversi
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2007
Il romanzo di Cristina Ali Farah, “Madre piccola”, ambientato tra Mogadiscio e l’Italia, è la storia di tre personaggi (due donne e un uomo) di straordinaria intensità e interesse: soggetti plurali, che appartengono sia al continente africano che a quello europeo, e che raccontandosi in prima persona ci restituiscono una visione autentica della realtà in cui ognuno di noi vive.
Anche per questo non sarebbe giusto limitarsi a considerare “Madre piccola” un esempio di letteratura migrante o della diaspora, perché il libro di Cristina Ali Farah è questo ma è anche molto altro: una preziosissima opera di letteratura italiana che sperimenta, all’interno dello stesso libro, linguaggi diversi, appartenenti sia al mondo dell’ oralità che a uno stile più ricercato e letterario.
“La lingua in cui scrivo non è mai casuale”, ha precisato la stessa autrice nella presentazione che si è tenuta a Roma presso il Centro Baobab, all’interno di una iniziativa che si propone “di avvicinare il pubblico alla letteratura e alle culture del Sud del Mondo, così cariche di saggezza e mistero”.
L’autrice (che, come una delle protagoniste del romanzo, è di padre somalo e madre italiana ed ha abitato a Mogadiscio negli anni della sua infanzia e giovinezza, corrispondenti a quelli della nascita della nuova nazione Somala) ha raccontato come è nata l’idea del libro: mentre per lavoro si trovava ad intervistare donne emigranti in Italia, dovendone riportare le voci per iscritto, ha capito che solo una lingua frutto di studio accurato, contaminata di oralità e arricchita di versi somali, avrebbe potuto aiutarla nel difficile compito di raccontare la ricchezza contenuta nel linguaggio verbale e non verbale delle sue interlocutrici, riuscendo a riportare, grazie anche un atteggiamento di “modestia disarmante” - come le riconosce il personaggio di Barni nel suo lungo e affascinante monologo - “il tutto così fittamente intrecciato da apparire persino superficiale”.
“La lingua che uso va in Somalia e torna in Italia, divenendo simbolo dell’accoglienza”, ha detto ancora Cristina Ali Farah. E noi possiamo aggiungere: simbolo della opportunità che abbiamo tutti noi di accogliere e di arricchirci della molteplicità di sguardi presenti nelle varie parti del mondo e di farci contaminare dalla poesia dell’altro.
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