Se la giustizia ti volta le spalle IO, SOGGETTO OFFESO
Una recente sentenza della Cassazione ha invalidato una sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro relativa a un abuso su minore, accogliendo due delle richieste di nullità avanzate dal difensore concernenti il riconoscimento di attenuanti.
Sabato, 14/12/2013 - Una recente sentenza della Cassazione ha invalidato una sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro relativa a un abuso su minore,
accogliendo due delle richieste di nullità avanzate dal difensore (concernenti il riconoscimento di attenuanti) e rinviando il nuovo
processo ad altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il diniego e motivarlo appropriatamente ove ritenga di doverlo
confermare.
Il concetto di “relazione amorosa”, espresso dal difensore dell’imputato e accolto nella sua decisione dalla Corte, che lo
applicava al rapporto sessuale continuato instaurato da un uomo di circa 60 anni con una bimba allora appena undicenne, ha suscitato reazioni indignate.
Una sentenza che farà molto discutere, ha scritto un quotidiano calabrese. Previsione millimetricamente centrata, perché da quando si è appreso da quali richieste di revisione sia scaturita la decisione presa dalla Corte, si è scatenato realmente un putiferio.
Sull’argomento si è scritto di tutto e a considerazioni molto valide sono stati affiancati parti di fantasia. Qualcuno si è convinto che la Cassazione avesse assolto l’uomo, cosa assolutamente non vera; qualcun altro che detta Corte avesse stabilito che l’abuso non è reato se c’è amore (qui), cosa non rispondente alla realtà, dato che l’esprimersi sull’accoglimento di attenuanti presuppone che intanto il reato sia stato considerato sussistente, come del resto è stato scritto in sentenza.
Tanto rumore non è però immotivato e cercheremo di spiegare il perché. Secondo quanto riportato nella sentenza del Tribunale di legittimità (qui), «la Corte d'Appello di Catanzaro confermava la sentenza emessa l'11.2.2011 dal Gip del Tribunale di Catanzaro, che aveva dichiarato L.P. responsabile del reato di cui agli artt. 81, 609 quater cod. pen. per avere compiuto atti sessuali con P.P., che non aveva ancora compiuto 14 anni e con le attenuanti generiche e la diminuente del rito lo aveva condannato alla pena di anni 5 di reclusione, oltre pene accessorie e risarcimento dei danni in favore delle parti civili F.A.M. , P.M. , P.L. e P.P».
Benché non ci vengano fornite informazioni sull’effetto quantitativo sia delle attenuanti generiche sia della diminuente del rito, appare tuttavia evidente che i 5 anni erano la risultante di una sottrazione rispetto agli anni che sarebbero stati comminati e per applicazione del 609-ter (pena da 6 a 12 anni per circostanza aggravante determinata dall’età inferiore ai 14 anni della vittima) e per applicazione del 609 quater comma 2, che risulta normante ove il fatto sia stato commesso «dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza».
P.L., infatti, non era un individuo di passaggio ma giusto un operatore dei servizi sociali cui la madre aveva affidato la bambina, la quale viveva una situazione di difficoltà per cause di natura familiare.
L’imputato però proponeva per mezzo del suo difensore ricorso, contestando la legittimità della decisione con alcune obiezioni, due delle quali rigettate dalla Cassazione e due accolte. Soffermiamoci qui solo sulla terza, che appare di interesse preminente rispetto alla quarta concernente le pene accessorie economiche.
Viene dunque richiesta dal difensore «nullità della sentenza per violazione degli artt. 609 quater, comma 4, e 133 cod. pen., determinata da contraddittorietà e carenza della motivazione con la quale è stata rifiutata l’attenuante di minor gravità del reato». Secondo il parere del legale, l’aver subordinato la non accettazione dell’attenuante al fatto che vi fosse stata congiunzione carnale e che la minore fosse al di sotto dei 14 anni d’età, aveva introdotto «oggettive "eccezioni" applicative dell'attenuante di cui all'art. 609 quater c.p. non previste e non volute dal legislatore». Inoltre, eccepiva il difensore, «non si è considerato che il fatto è avvenuto nell'ambito di una relazione amorosa».


Vediamo adesso con quali argomenti la Cassazione ha spiegato la sua decisione, in merito a questa parte del ricorso.
«La corte d'appello in sostanza» motiva la Corte «ha omesso di prendere in esame le considerazioni della difesa, e si è limitata a negare l'attenuante per ragioni che però non sono conformi alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “la circostanza attenuante fondata sulla minore gravità del caso è riferibile tanto alle condotte di violenza sessuale (art. 609-bis, comma 3, cod. pen.), eventualmente aggravate per l'età inferiore ai dieci anni della vittima (art. 609-ter, comma 2, cod. pen.), quanto all'ipotesi di atti sessuali con minorenne di analoga età (art. 609 quater, comma 4, in relazione all'art. 609-ter, comma 2, cod. pen.)». Detto diversamente, la Cassazione ha rilevato che le attenuanti fondate sulla minore gravità del caso sono state costantemente applicate dalla Corte alle condotte di violenza sessuale, pure in presenza dell’aggravante determinata dall’avere la vittima un’età inferiore ai dieci anni.
Poiché è ben noto come la giurisprudenza si fondi e sulle norme (che prevedono l'applicabilità della riduzione di pena) e sulle interpretazioni di queste effettuate mediante sentenze e decisioni, tale constatazione appare ben solida a condizione che possa dirsi altrettanto della minore gravità del caso.
«Ne consegue», leggiamo ancora nella sentenza «che la ricorrenza dell'attenuante non può essere negata per il solo fatto della tenera età della persona offesa, dovendosi piuttosto individuare dal giudice elementi di disvalore aggiuntivo, sulla base dei criteri delineati all'art. 133 cod. pen., rispetto all'elemento tipico dell'età inferiore ai dieci anni” (Sez. III, 9.7.2002, n. 37656, Capaccioli, m. 223672).
Strano ragionamento. Finché si dice che l’attenuante non può essere negata solo sulla base dell’età, siamo ancora sul filo della logica. Ci sembra che ne sia invece seriamente al di fuori l’affermazione in base alla quale il non accoglimento dell’attenuante debba dipendere NON dal contenuto ovvero dalla motivazione dell’attenuante richiesta, bensì dall’assenza di un disvalore aggiuntivo. Come dire che sì, tu sei colpevole col disvalore di 8, ma poiché non scatta un disvalore aggiuntivo che possa portare a 9 la tua colpa (quale ad es. l’età inferiore a 10 anni), allora il tuo punteggio scende a 7. Un vero e proprio salto di caselle in un qualche gioco da tavolo infernale.
Andiamo adesso alla motivazione che, IN SÉ CONSIDERATA, determinerebbe la minor gravità.
Scrive il giudice di Cassazione: «La sentenza impugnata, invero, ha motivato questa statuizione in considerazione del fatto che l'atto sessuale consumato dall'imputato costituiva la forma più invasiva e, pertanto, più grave di lesione dell'altrui integrità psicofisica; mentre non rilevava che l'imputato non avesse adottato forme di violenza o coartazione verso la vittima. Erano poi irrilevanti il consenso della vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati nell'ambito di una relazione amorosa». Ergo, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello avrebbe errato.
C’è da chiedersi se esiste un qualche parametro oggettivo cui ancorare il significato delle parole o se tutto è opinabile al punto che si può nominare qualcosa per affermare il suo esatto contrario.
Dal codice penale: Art. 609-bis.
Violenza sessuale.
«Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
 Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi».
Punto primo: cosa ha sostanzialmente affermato il giudice della Corte d’Appello definendo l’atto compiuto dall’imputato come «la forma più invasiva e conseguentemente più grave di lesione dell'altrui integrità psicofisica», senza richiedere perizie di un qualche tipo che accertassero il grado di gravità? Molto semplicemente che non si era trattato di un petting, ovvero di quell’insieme di pratiche ed effusioni di natura sessuale che non includono un rapporto sessuale completo, ma di congiungimento carnale vero e proprio, innegabile, non contestato, non da dimostrare mediante perizie, perché facente parte del fatto accertato.
Punto secondo: cosa si intende per abuso di autorità? È seriamente possibile supporre che una bambina di 11 anni non consideri legittimamente dotato di autorità - ovvero persona a cui ubbidire - un adulto di circa 60, investito del compito di aiutarla, e che pertanto la trasformazione della relazione iniziale di aiuto in relazione sessuale, dall’adulto indotta e ottenuta, non configuri nettamente l’abuso?
Punto terzo: cosa si intende per inferiorità fisica o psichica? È da considerare inferiore quanto a possibile maturazione psichica una bambina di 11 anni rispetto a un adulto di 60, o per caso appare appare lecito supporre che un adulto di 60 abbia una pari maturazione psichica di una bambina undicenne, cosa che escluderebbe l’inferiorità della bambina?
Se l’abuso di autorità è riscontrabile - e lo è - e se l’inferiorità psichica della vittima al momento del fatto sussiste - e sussisteva - allora affermare che «l'imputato non avesse adottato forme di violenza o coartazione verso la vittima» (sic) è un puro e semplice esercizio di delegittimazione del linguaggio, cui è totalmente impossibile attribuire il valore di verità.
Più corretto sarebbe stato sostenere che l'atto sessuale era stato ottenuto e consumato dall’imputato senza il ricorso ad altre forme di violenza o costrizione fisica esulanti l’abuso di quel rapporto di fiducia, mista a obbedienza e affetto, che connotava il sentimento della bambina verso di lui. Posta nelle sue giusta collocazione la cosa, non sarebbe sorta né sorgerebbe difficoltà alcuna nel riconoscere l’assenza di un disvalore aggiuntivo, fermo restando che detta assenza non può però tramutarsi in premiazione, determinando come detto prima la discesa del disvalore a un livello più basso di quello attribuito dal giudice di merito al reato. Per l’assenza di un’efferatezza ulteriore, quel disvalore non aumenta e nemmeno diminuisce: rimane dov’è. Ne consegue che la motivazione posta alla base della richiesta di attenuazione andava non accolta - e conseguentemente esaltata - ma rigettata dal Tribunale di legittimità.
Addirittura aberrante appare poi l’utilizzazione di una formula come “relazione amorosa”, che presuppone la libertà di autodeterminazione di entrambe le parti e non di una soltanto, per connotare quel rapporto di abuso psichico, che si è tradotto in abuso anche fisico, instauratosi tra il sessantenne e la piccola.
Quand’anche in relazione al proprio bisogno d'affetto e/o alla particolare età prepuberale o già puberale in cui si trovava all'epoca, la bambina avesse realmente sviluppato un qualsiasi sentimento di “amore” implicante un desiderio sessuale, questo avrebbe dovuto indurre l’adulto a porre in atto un piano specifico di aiuto e non uno di utilizzazione, a scopo di libidine personale, della piccola affidata alle sue cure Se anche la bambina, per una serie di problemi suoi, avesse "amato" non ci sarebbe stata "relazione amorosa" libera e simmetrica - dunque degna di tale nome - ma una relazione assolutamente sbilanciata, nella quale la bambina sarebbe stata in ogni caso una vittima della libera volontà altrui e l'uomo, che ha peraltro dimostrato di posporre ogni presenza da lei richiesta alle proprie comodità familiari, un semplice approfittatore senza scrupoli.
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