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Se il dibattito è impotente

Se il dibattito è impotente

Femminismi / 2 - il femminismo italiano si è modellato solo su riferimenti culturali e politici della significazione "simbolico-giuridica" del femminile, espungendo da sé ogni rapporto con le culture della trasformazione sociale

Pellegrini Paola Martedi, 22/12/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2009

Sarebbe certamente importante se il dibattito scaturito dalle vicende di sesso a pagamento nell'harem del premier investisse una società incapace di dire una parola di verità su di sé. Negli anni passati le donne hanno pensato che lo loro battaglie e idee avevano cambiato il mondo. Le donne, quelle che a nome di tutte le altre hanno preso la parola, si sono poi raccontate la favola che mentre il mondo celebrava i fasti del denaro e dell'individualismo più sfrenato il progetto di un essere umano capace di relazione sarebbe rimasto intatto nelle coscienze. Ovviamente non è stato così. Per questo la rappresentazione del femminile che emerge dal dibattito di queste settimane secondo me, è vera solo in parte. lo vivo ogni giorno una diversa realtà, incontro ragazze iscritte alle facoltà scientifiche, donne nelle professioni fino a ieri privilegio degli uomini: dal medico, al dirigente, alla docente universitaria. Questo nella realtà italiana di trenta anni fa non c'era. Come non c'erano gli attuali tassi di alfabetizzazione e acculturazione femminile. Credo che molte di queste donne sentono più importanti problemi come la crescente crisi che falcidia i loro posti di lavoro, anche quelli precari e malpagati pur se qualificati. Ma queste donne che io incontro e che tutte incontriamo nella realtà, nel discorso di tante femministe storiche, che sono state all'avanguardia quasi 40 anni fa e delle quali nessuno nega il contributo, non ci sono. La condizione delle donne è profondamente cambiata, e per tanti versi poteva cambiare davvero in meglio, 'se'. Ecco, è questo 'se', che oggi il femminismo non affronta: impossibilitato dalla sua stessa storia o meglio dalla storia concreta della grande maggioranza delle sue esponenti più rappresentative, quella di una scelta di campo di matrice "liberaldemocratica", operata a partire dalla metà degli anni '80. Scelta assolutamente comprensibile storicamente, che si è intrecciata non a caso con la distruzione dei grandi partiti di massa (mi riferisco sia al PCI che alla DC, senza dimenticare quel patrimonio libertario - più esile ma importante come riferimento ideale - del PSI). Da allora, e senza alcun confronto, degno almeno di nota, il femminismo italiano si è modellato solo su riferimenti culturali e politici della significazione "simbolico-giuridica" del femminile, espungendo da sé ogni rapporto con le culture della trasformazione sociale e del superamento delle forme privatistiche del capitalismo, all'interno del quale poter collocare una liberazione nuova e generale del genere femminile. Per il femminismo italiano, semplicemente, questa dimensione trasformativa non esiste. È per questo che la devastante rappresentazione pubblica di un genere femminile, in cui fa breccia la deriva privatistica e asociale ventennale delle reti Fininvest e la frantumazione degli esseri umani come regola di una sopravvivenza da giungla, ha aperto nel femminismo italiano e tra le sue esponenti di maggior spicco - donne potenti e inserite a pieno titolo nei circuiti mediatici pubblici - un deviante e impotente dibattito: sulla forma con la quale si presenta oggi l'immagine delle donne, senza affrontare il nodo di cui quell'immagine è sostanza, un reale rimosso, la devastazione civile e morale di un paese che non è in grado di rispondere a nessun bisogno di libertà e di emancipazione fondate sulla costruzione della propria forza e sul proprio sapere. E' inutile continuare a dibattere sulla libertà di prostituirsi e finire quasi col fare di D'Addario la vittima: perché quello che è venuto alla luce è che i nostri ideali di liberazione di quarant'anni fa si sono corrotti dentro l'erosione delle conquiste sociali degli anni 60 e 70 e con l'erosione dello spirito pubblico. Nel femminismo italiano esiste una egemonia di lunga data che ha finito col il pensare che l'uscita dal modello fordista di lavoro e da una cittadinanza costruita su misura del maschio avrebbe significato l'uscita delle donne dalla gabbia di minorità delle tutele. Ma a quella gabbia si è sostituita l'assenza di ogni regola. Ma si è detto che finalmente le donne erano forti e non avevano più bisogno di politiche mirate a trasformare i loro bisogni di liberazione in diritti sanciti ed esigibili: dal lavoro, alla libertà procreativa e sessuale, alla tutela della propria integrità fisica e morale di fronte ai revanchismi di maschilismo violento. Siccome si è detto che le donne ora erano finalmente forti, non si è più vista la realtà, la fatica vera di esistere nel progetto di sé che, e paradossalmente è parso lecito anche il gesto di chi manda al governo le Carfagna. Così ci si ritrova a vedere in televisione donne messe lì dal capo dire che fa bene a distrarsi e le femministe arrancare perché hanno rinunciato a contestare i modi della promozione femminile. Non erano forse tutti leciti?



(22 dicembre 2009)

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