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Scusi, ma perchè obietta?

Scusi, ma perchè obietta?

Aborto e prevenzione - A Roma (13 e 14 ottobre) il settimo congresso della Fiapac. Dall'etica alle tecniche, dalla salute alla cultura, a confronto le esperienze di tanti paesi, soprattutto in riferimento all'aborto farmacologico

Marina Toschi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2006

Due gli aspetti importanti di questa associazione: essersi costituita a partire dall'esperienza della dott.ssa Elisabeth Aubény (la ginecologa che ha sperimentato per la prima volta nel mondo il metodo dell’aborto farmacologico con il Mifepristone o RU486 presso l’ospedale Broussais di Parigi) e la peculiarità della federazione che, a differenza delle società scientifiche tradizionali, è costituita non solo da medici, ma anche dalle altre figure professionali implicate nel processo decisionale e nello svolgimento dell’intervento di Interruzione volontaria della gravidanza (operatori del counselling, personale infermieristico, ostetrico, psicologico e socio-sanitario). Insomma, la Fiapac, un laboratorio unico nel suo genere, è diventata una sede internazionale importante di condivisione delle diverse esperienze dell’aborto volontario, sia dal punto di vista legislativo che della pratica clinica e il fatto che un numero sempre più grande di paesi partecipi alle sue iniziative testimonia di quanto sia avvertita la necessità di confronto e approfondimenti.

Mirella Parachini, Ginecologa all’Ospedale S. Filippo Neri di Roma, membro del direttivo FIAPAC , canditata nelle liste della Rosa nel Pugno
Perché è importante che il congresso si tenga in Italia ?
Una organizzazione quale la Fiapac assume nel nostro paese un ruolo inedito ed essenziale.
Basti pensare alla totale carenza, nelle scuole di specializzazione di Ostetricia e Ginecologia del nostro paese, di corsi specifici destinati alla formazione di chi si troverà ad affrontare questa delicatissima tematica, che viene lasciata all'iniziativa del singolo medico "non-obiettore" con la conseguenza di veder applicati, per lo stesso tipo di atto medico, i comportamenti più disparati, a volte privi di qualsiasi evidenza scientifica quando non in disaccordo con le linee guida internazionali.
Appartiene a questa drammatica mancanza di considerazione professionale dell’aborto volontario in Italia la resistenza all’introduzione dell’aborto farmacologico, a partire innanzitutto da coloro che sono stati finora deputati a “governare” la sanità nel nostro paese.
L’introduzione dell’aborto farmacologico con il Mifepristone - o RU 486 - rappresenta in modo paradigmatico un dibattito grossolanamente sottratto alla sua sede naturale, quella sull'uso “delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza” (non a caso cito l’articolo 15 della legge 194), a favore di una polemica tutta ideologica ed antiscientifica. Ricordo che in Francia il mifepristone è in commercio dal 1988, in Gran Bretagna dal 1991, in Svezia dal 1992, nella maggior parte dei paesi europei dal 1999 e negli Stati Uniti dal 2000. Senza qui volere entrare nel merito del dibattito, mi limito a far notare come sia indispensabile che questo venga riportato, anche nel nostro paese, nella sua legittima sede e come l’occasione fornita dallo svolgimento del congresso della Fiapac a Roma rappresenta una grande opportunità per tutti coloro che si confrontano con questa tematica.

Che prospettive vedi per la RU486 in Italia?
Io credo che si debba avere il coraggio di prendere finalmente una decisione politica sulla introduzione della RU486 in Italia. Le dichiarazioni della Turco all'indomani della sua elezione a ministro della salute ci fanno ben sperare. Altrimenti si continuerà a rimanere in questa assurda situazione in cui da una parte si moltiplicano le iniziative - per fortuna sempre più numerose - di singoli ospedali che ricorrono all'importazione del farmaco dall'estero, mentre nella stragrande maggioranza dei casi le donne si trovano ancora di fronte a lunghe liste di attesa per ottenere l'intervento chirurgico.

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Giovanna Scassellati, ginecologa, responsabile del reparto per la 194 nell’Ospedale S. Camillo di Roma, da anni impegnata per una corretta applicazione della legge.
Quale aiuto avete avuto dalla FIAPAC?
Abbiamo chiesto il supporto di molti operatori stranieri affinché effettivamente si possa far sì che anche in Italia si diffonda l’uso dell’aborto medico. Infatti non si riesce a comprendere perché sia così difficile da noi l’introduzione di questo farmaco per le IVG al di sotto delle 7 settimane (49 giorni) di amenorrea, mentre è possibile ottenerlo nella stragrande maggioranza dei paesi europei e anche negli USA. Lo scambio con altri colleghi, per noi che spesso viviamo isolati e con scarse possibilità di discussione professionale, sulle nuove e migliori tecniche per l’IVG, è stato molto importante e di grande sostegno. Sono venuti alcuni di loro al S. Camillo ed anche noi siamo state in Spagna (Barcellona), in Olanda ed in Belgio per vedere come sono organizzati.

Che si può fare in Italia ?
L’Italia è l’unico paese che mantiene la gratuità assoluta e la gestione solo all’interno degli Ospedali. Ovunque invece l’aborto si svolge anche in piccoli ambulatori, se non ormai a domicilio, con costi e tempi molto inferiori. Dopo più di 25 anni di questo lavoro affermo che non sono più d’accordo con la nostra modalità!
Per disincentivare l’abuso da parte di alcune, bisogna che le donne paghino un piccolo ticket o che almeno inizino a pagare dopo la prima volta, come avviene in Inghilterra. Nel nostro paese, credo che sia bene che le donne, ed i loro partner, si responsabilizzino di più . E’ giusto, invece che sia resa più facile la contraccezione, con la gratuità della pillola e degli IUD, come affermato nella legge 194, ma non recepito dal Servizio Sanitario Nazionale. Infatti tutte le pillole a basso dosaggio sono tra i farmaci in classe C, ovvero a pagamento completo da parte della donna, obbligano poi a ripetere la ricetta mensilmente o trimestralmente.
In Belgio una pillola costa 9 euro ogni 3 mesi, mentre in Italia nessuna di basso dosaggio costa meno di 12 euro. Non è neanche in commercio il preservativo femminile e quelli maschili sono costosi.

Come vi sentite ad essere tra i pochi non obiettori alla legge 194?
E’ vero, siamo davvero pochi, in alcune Regioni gli obiettori (medici ed ostetriche) sono il 95% del personale e la piccola percentuale che non obietta, si carica moli di lavoro immenso , malremunerato e certamente umanamente faticoso. Spesso siamo maltrattati, invece che venire riconosciuti come personale che fa un lavoro socialmente rilevante.
Nella Regione Lazio questa estate, affinché si prendesse in esame questa situazione, 25 medici hanno consegnato la loro obiezione alle Direzioni Sanitarie, in segno di protesta. Abbiamo ottenuto un tavolo permanente in Assessorato e stiamo cercando di ottenere che si cominci ad usare l’aborto medico.

Come va nel tuo ospedale?
Al S. Camillo vorremo partire con il consenso del nuovo Direttore Generale, come hanno fatto molti altri ospedali Italiani, comprando direttamente in Francia il farmaco. Per questo è importante che i colleghi apprendano anche nel congresso l’uso di questo metodo e che l’opinione pubblica tutta venga coinvolta per questa scelta corretta sia dal punto di vista scientifico che del rispetto della volontà delle diverse donne.

(10 ottobre 2006)

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