Speciale scuola - "la grande avventura culturale ed intellettiva che bisogna saper trasmettere ai ragazzi"...
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2008
La scuola media ha una doppia funzione: dal punto di vista della costruzione della personalità deve dare tutti gli strumenti culturali, cognitivi, relazionali per poter cogliere la propria identità e dal punto di vista cognitivo deve aiutare a compiere il passaggio dal predisciplinare alla scoperta dei codici e dei linguaggi disciplinari.
E questa è la grande avventura culturale ed intellettiva che bisogna saper trasmettere ai ragazzi.
Nel turbinio che ha accompagnato la Riforma Gelmini, la scuola media inferiore è il segmento della nostra istruzione meno toccato. Eppure, da anni ne parlano gli esperti, è il punto debole del sistema scolastico italiano. Grande risonanza hanno avuto, qualche mese fa, i risultati del Rapporto PISA OSCE, un documento redatto ogni tre anni per valutare il livello generale d'istruzione degli studenti quindicenni di tutto il mondo: l'Italia ha un punteggio medio di 475 contro una media Ocse di 500 e una media Ue di 497. Siamo andati a sentire dirigenti scolastici, insegnanti, genitori e studenti. Ne esce il ritratto di una scuola che si appoggia sempre più sulla buona volontà dei singoli. Lo Stato è sempre più lontano….
Flora Beggiato, dirigente scolastica della Scuola Media Cecilio II di Roma
“Sono preside dal 1993. La media inferiore, negli ultimi 15 anni, toccata da varie proposte di riforma e scissione, è stata messa ‘tra parentesi’. E’ una scuola breve ma tocca anni intensissimi e fondamentali nello sviluppo di un ragazzo e di una ragazza e termina con una scelta sul proprio futuro. Noi riceviamo dei bambini e licenziamo dei ragazzi e delle donne. Nel giro di pochi mesi maturano dei passaggi repentini e questo va gestito nel migliore dei modi, tenendo presente che la nostra finalità è formativa. Abbiamo tre anni per predisporre tutto quello che sarà il percorso culturale di un individuo. E’ un processo che dovrebbe portare ciascuna persona a scoprire la propria identità all’interno di una gamma di competenze. Quindi un imprinting negativo in questo segmento di scuola significa una scarsa autostima, una bassa percezione di sé e questo è generato spesso dalla mancanza di un’adeguata offerta formativa strutturata e definita parte dell’istituzione scolastica. Nella nostra scuola facciamo ormai da anni dei percorsi di autovalutazione con questionari che vengono sottoposti a tutti: docenti, personale ATA, genitori e alunni. Da questo individuiamo i punti deboli e i punti di forza e cerchiamo di aggiustare il tiro su tutti i versanti: relazionale, organizzativo, disciplinare. Questa pratica, in Italia, è poco sviluppata e lasciata all’iniziativa autonoma delle scuole e alla sensibilità dei dirigenti. La mancanza di un sistema nazionale di valutazione che indichi i livelli minimi di apprendimento rispetto a delle aree disciplinari ha come conseguenza delle situazioni come quelle rivelate dal famigerato Rapporto PISA OSCE. Questo è uno dei più grandi deficit del sistema scolastico. Adesso si pensa che aver sostituito ai giudizi i voti sia la panacea ma se non si individua a monte il criterio in base al quale attribuire un voto non cambia nulla. L’unico risultato che avremo è penalizzare chi è già in difficoltà. La nostra offerta formativa è molto ampia (servizio psicologico, video, attività sportiva, teatro, musica, lettori madrelingua) ma questo presuppone un enorme sforzo di gestione, una forte integrazione territoriale e la progettazione e partecipazione a bandi per il reperimento di fondi per svolgere le attività. Anche questo è lasciato alla nostra iniziativa perché potremmo tranquillamente svolgere solo le ore previste dal curricolo. Il grave problema sono le strutture e i fondi destinati alla scuola. Dall’introduzione dell’autonomia scolastica, nel 1990, le scuole si sono dovute attrezzare per una mole di lavoro enorme assorbendo in parte anche quello che facevano i provveditorati e i nostri organici sono rimasti invariati. Il personale di ruolo è gestito e pagato dal Ministero del Tesoro ma il personale supplente è gestito direttamente dalla scuola con fondi che dobbiamo rendicontare. In più, una finanziaria di qualche anno fa, raccomandava di non chiamare supplenti esterni prima dei 15 giorni; durante questo periodo ci dobbiamo barcamenare con gli straordinari dei docenti e gli esuberi di ore del personale a cui sono state tagliate le ore nell’area disciplinare, come previsto dalla riforma Moratti. Queste ore in più, fino ad ora, sono state utilizzate per laboratori e supplenze. Nel momento in cui si facesse corrispondere, come sembra da questa ennesima riforma, le ore assegnate ai docenti per cattedre con le ore effettive di presenza in classe non sapremmo come coprire le supplenze e, come datore di lavoro, mi troverei a non poter garantire più la sicurezza. Infatti le classi non possono rimanere scoperte e, non avendo docenti a disposizione, sarei costretta a smembrare le classi e riempire le altre fino a 27 alunni o più alunni. A questo punto non si può più parlare di scuola ma di parcheggio. C’è poi il crescente problema dell’alfabetizzazione degli studenti stranieri. Nel mio plesso ho il 10% di alunni che vengono dall’estero: non abbiamo mediatori culturali e non esiste la possibilità di avere un sostegno per l’apprendimento di questi ragazzi. Mi chiedo come ce la facciano a garantire un minimo di diritto allo studio le scuole che hanno fino al 70% di studenti non italiani. Ogni anno vengono tagliati i fondi per il funzionamento. Fino allo scorso anno pagavamo la Nettezza urbana (12.000 euro) e le maternità; poi il ministro Fioroni ci ha esentati almeno da questo. Sono d’accordo che debba essere messa in atto una politica di razionalizzazione nel settore pubblico, alcuni tagli sono certamente necessari e i sacrifici vanno distribuiti in maniera equa. Per quanto riguarda la scuola sono convinta, ad esempio, che alcune cattedre andrebbero ripensate. Alcuni insegnamenti potrebbero prevedere uno sfoltimento dei percorsi, ci sono dei programmi sconfinati che andrebbero razionalizzati. Penso ad insegnamenti come tecnologia che potrebbero essere accorpati alla matematica, o storia dell’arte che rientra nel settore delle discipline umanistiche o ancora alle scuole medie con indirizzo musicale che hanno bisogno di fondi consistenti e sono dei piccoli conservatori che forse non hanno neanche senso in un segmento di scuola che è dell’obbligo e ha una funzione formativa che deve essere universale. Penso anche al caso della religione cattolica che rientra nelle 29 ore curricolari pur essendo opzionale. C’è una tendenza, negli ultimi anni, ad esonerare i propri figli da questa materia. Questi ragazzi hanno diritto a scegliere tra tre opzioni: entrata posticipata o uscita anticipata, studio assistito, materia alternativa. Ma noi non abbiamo il personale e lo spazio fisico per poter far fronte a queste esigenze e l’orario non può essere organizzato per tutti in modo da far entrare dopo o uscire prima. Siamo costretti a dividerli nelle varie classi. Non sono contraria ideologicamente a riforme però si deve individuare bene dove intervenire. La situazione attuale di assunzione del personale docente e non, le pastoie burocratiche attraverso le quali dobbiamo, ad esempio, passare sono molte e non garantiscono la qualità. C’è un eccessivo garantismo nei confronti dell’organico che spesso stride con l’efficienza, l’efficacia e la qualità. Non ci sono, per esempio, strumenti adeguati per un dirigente, che deve rispondere della qualità di un servizio, per poter migliorare il rendimento di un docente. D’altra parte non c’è attenzione e non esistono meccanismi di gratificazione e carriera per docenti che hanno un’esperienza straordinaria e hanno maturato competenze che sarebbero assolutamente da valorizzare”.
Quale riforma per la scuola media inferiore
Il ritorno del voto in condotta che sarà determinante per il giudizio finale. Con il «5» in pagella, si corre il rischio della bocciatura.
Il ritorno del voto in decimi in pagella. Nessun pericolo bocciatura per una sola insufficienza. Il testo prevede che si arriverà alla bocciatura solo con l’accordo della maggioranza dei professori.
Calo orario. E’ prevista una diminuzione da 32 a 29 ore settimanali. L’orario effettivo di lavoro di tutti i docenti sarà di 18 ore.
Parlano gli studenti
Irene. “Mi piace andare a scuola e avere la possibilità di conoscere tante persone e scoprire cose nuove. Ho sempre avuto un interesse per l'italiano e per la lettura e mi piacerebbe avere la possibilità di studiare più letteratura e di leggere più libri. Penso poi che servirebbero dei laboratori: studiamo la composizione della materia e la produzione dell'energia. Ma non è tanto facile capire come funzionano queste cose leggendole in un libro; bisognerebbe fare degli esempi pratici. Noi, in un laboratorio, non ci siamo mai stati!”
Marta. “Mi piace l'ambiente, il fatto che si crei un'atmosfera amichevole e familiare tra noi studenti, professori e personale scolastico. Una cosa interessante è il corso di Educazione civica perché non stiamo solo studiando sui libri ma stiamo applicando il funzionamento dello stato e delle città alla nostra classe; abbiamo un sindaco (anzi una sindaca) e degli assessori. E' divertente e ti fa capire tante cose”.
Scuola e famiglia: lavoriamo insieme?
…si è perso il patto formativo tra docenti e famiglie…
A.M., insegnante di inglese
“Il mio sogno sarebbe che la scuola media durasse cinque anni. Questo permetterebbe di completare il percorso formativo dei ragazzi e sposterebbe più avanti la scelta sulle superiori. Quando i ragazzi escono dalla media e vanno al liceo c’è uno sbando fortissimo dovuto al fatto che nei licei non esiste un’impostazione psico-pedagogica e tutto viene ridotto al profitto che, ovviamente è importante, ma va inquadrato in un processo di accoglienza, di evoluzione, di capacità di entrare in comunicazione, come avviene nella scuola media. Tutto questo presuppone a monte un grande lavoro di organizzazione che passa dall’autovalutazione. Ma la politica non lo vuole capire. Chi ci governa non ha voglia di analizzare le strutture che sono alla base dei processi educativi. La scuola è un investimento a lunghissima scadenza, non è un’azienda. Ho l’impressione che si stia cercando di imitare le scuole di stampo anglosassone e che lo Stato voglia liberarsi dell’organico della scuola. Con il federalismo si delegheranno le scuole alle regioni e questa settorializzazione dei contenuti, unita al diritto dei nomina dei docenti da parte dei presidi, che si sta ventilando, farà sì che non esisterà più un sistema nazionale di istruzione. Altro tema importante è quello della relazione famiglia scuola. L’ingresso delle famiglie nella scuola, con i decreti del 1974, ha determinato una situazione di grande partecipazione e volontà di comprendere. Ma oggi si è perso il patto formativo tra docenti e famiglie e da parte di quest’ultime si percepisce una continua dequalificazione dell’istituzione scolastica e del personale docente cosa che rende complicatissimo il nostro compito”.
Liana Scali, insegnante di lettere
“Insegno da 38 anni e nel corso del tempo si sono succedute almeno 4 o 5 riforme. Tutto questo disorienta alunni e docenti. La mia impressione è che la scuola, da agenzia di formazione, stia diventando luogo di informazione. Questo si riscontra sia nei programmi, che sono stati tagliati e ai quali mancano delle parti fondamentali, penso alla storia, che nei libri di testo che spesso sono fin troppo colorati e dispersivi. Vorrei delle scuole in cui si potessero fare tante cose e ci fossero strutture adeguate per poter dare ai ragazzi opportunità diversificate. La scuola dovrebbe essere il perno della sua vita di un giovane, il luogo in cui la complessità di questa personalità che si sta sviluppando possa trovare risposte. Purtroppo invece abbiamo grandi limiti nelle strutture e nelle risorse. Quello che funziona bene sono gli insegnanti. Il corpo docente è molto sensibile e ha una grande coscienza e volontà di dare ma al di la della nostra voce e del nostro impegno non ci sono strumenti. La considerazione della scuola, poi, è cambiata molto da parte dei ragazzi e delle famiglie che vanno bacchettate e hanno grandi responsabilità nell’attuale situazione. E’ necessario mettere dei limiti, delle regole e forse la reintroduzione di un voto servirà ad introdurre qualche remora e a rendere chiari i confini che non è possibile oltrepassare. Certo bisognerà fare una valutazione a posteriori”.
E LA FAMIGLIA…
Giuseppe Santo – papà di Chiara, Valentina e Marta – La scuola soffre di disattenzione. La mia sensazione è che funziona se ci sono dei buoni professori e un buon dirigente scolastico e che manchi una capacità di governo e una visione politica da parte delle istituzioni, da quelle più vicine alle nazionali. La forza della scuola è finora troppo demandata all’individualità del professore. E’ una struttura troppo importante della nostra società per poter pensare di ricavarne un tornaconto economico, invece è quello che mi sembra stia accadendo.
Stefano Mercurio – papà di Chiara – Ho cinque figli e per forza di cose una certa esperienza. La mia impressione è che non ci sia la tanto sbandierata continuità tra la scuola dell’infanzia e le scuole superiori; e man mano che si va avanti nel corso di studio l’istituzione scolastica perda progressivamente il contatto con l’intorno sociale. C’è una specie di distacco con la globalità della realtà sul territorio. Di questa separazione tra i giovani e la società sono piccoli sintomi gli episodi di bullismo e razzismo che in giovane età sono solo indizi di qualcosa che può progredire. La scuola indubbiamente propone una serie di risposte a queste criticità ma spesso, per mancanza di fondi e anche di capacità di una lettura globale, non riesce ad incidere. Le attività integrative che vengono proposte sono, in un certo senso isolate, mentre dovrebbero contribuire a sviluppare nella globalità la crescita del ragazzo. Per questa mancanza di integrazione e di supporto, anche istituzionale, molte azioni positive, restano a carico di pochi isolati insegnati e non riescono ad avere una ricaduta più ampia.
UN PO’ DI STORIA
Nel 1963 veniva approvata, dal primo governo di centro-sinistra, la legge che istituiva la scuola media unica, obbligatoria e gratuita. Fino a quel momento vigeva per il percorso post elementare un rigido doppio canale: da un lato la scuola media, in realtà i primi tre anni di ginnasio (ancora oggi chi frequenta il liceo classico chiama i primi due anni IV e V ginnasio senza sapere perché), con la possibilità di proseguire gli studi superiori e dall’altro l’avviamento professionale (tecnico, commerciale, agricolo) indirizzato al lavoro. In realtà l’obbligo scolastico a 14 anni fu istituito ufficialmente da Giovanni Gentile nel 1923 per aderire ad una convenzione internazionale, ma di fatto rimase lettera morta per la stragrande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi italiani fino al lontano, ma non troppo, 1963. E questo nonostante dal 1948 un articolo della Costituzione della Repubblica imponesse un obbligo di frequenza scolastica di almeno otto anni. L’obiettivo principale della riforma era quello di estendere a tutti i ragazzi tra gli 11 e i 14 anni un tipo di istruzione unica e obbligatoria. Uno degli effetti fu che nel decennio immediatamente successivo, a fronte di una crescita della popolazione italiana del 6,5%, l'aumento dei ragazzi che frequentavano la scuola media unica fu del 32,6%.
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