Maternità - “quando si dice che tutte siamo ‘madri e figlie di noi stesse’, si affronta un fatto di cui non sempre ci sentiamo responsabili”
Giancarla Codrignani Lunedi, 31/10/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2011
Un mese fa Monica Lanfranco - avete presente Marea? - ha organizzato un nuovo seminario nella sua Officina dei saperi femministi a Caranzano. Anche per un equivoco non ho potuto partecipare, ma ero particolarmente interessata, per una serie di ragioni in parte soggettive, in parte politiche. Per questo riprendo il tema.
Siccome non ho avuto figli, non ho esperienze da raccontare, se non la consapevolezza di involontari conflitti con figli che, se competitivi rispetto a presunte aspettative di una madre, avrebbero potuto sentirmi troppo forte per resistermi. Non mi sogno in nessun caso di pensare alle relazioni come se potessero produrre antagonismi, ma so che un figlio (per me, non so perché, lo penso al maschile...) avrebbe potuto pensarsi autonomo scegliendo di fare il militare, il prete o il calciatore, attività rispettabili, ma del tutto fuori dal mio immaginario famigliare e sociale.
Ho invece una grande eredità come figlia. E un grande debito con una madre assolutamente fuori dal comune, che da piccola mi regalava le bambole, ma insegnandomi che i bambini sono tutti belli allo stesso modo, ma che per averne uno proprio bisognava prima "scegliersi" un uomo. Il che per una della mia generazione non era scontato.
Sarebbe interessante sentire che cosa donne giovani e meno giovani hanno da dire sulla maternità senza istintiva accettazione del dato, perché - anche se non viviamo ai tempi di una propaganda demografica esplicita come quando il fascismo chiedeva alle "fattrici" carne da fabbrica e da cannone - non mi nascondo che richiami sociali alla natalità non sono mancati neppure da noi e dà i brividi pensare, per esempio, alla gara riproduttiva gestita - e subita dalle donne - tra maschi palestinesi e israeliani per il predominio sul territorio.
Comunque registriamo fenomeni di non facile comprensione. Per esempio, si è letto di esperimenti di sostituzione dell'utero "improduttivo" (diciamo così, anche se fa più impressione che dire "sterile", come nella condanna biblica) con uno trapiantato. Progetto in cui davvero la vita si incontra con la morte e che avrebbe già una lista d'attesa di duecento richieste. Meglio (o peggio, a scelta -) dell'utero in affitto? Davvero di madri non ce ne sarà più "una sola", se qualcuno - forse la chiesa cattolica - troverà meno contestabile il prelievo da cadavere che la fecondazione assistita.
Gli interrogativi veri, tuttavia, sono molti di più. Chi non ha figli ha scelto di non averne e ha accettato una sua storia comunque positiva oppure si sente in colpa? Il desiderio di figli è, almeno per alcune donne, un bisogno fisico di gravidanza (penso a quante affrontano vere torture per realizzare una pratica di fecondazione assistita)? Davvero la maternità può diventare, per scelta (purtroppo oggi alle lavoratrici vengono imposte dal sistema limitazioni disumane), un'alternativa alla libertà, al lavoro, alle passioni individuali e sociali? Quanto grande è il peso dell'ideologia e della tradizione culturale (in Africa la donna senza figli è degna solo di compassione) nell'esaltazione del ruolo materno? I nostri desideri sono manipolabili fino a farci sospettare che fin dall'origine nascano condizionati? Davvero sentirsi più madre oppure più figlia distingue il personale dal sociale? E l'aborto, come va ripensato all'interno di un bisogno riconosciuto di maternità?
Davvero si sospettava che ci sia molto da ripensare sul potenziale che sta dentro un "materno" non ancora esplorato fino in fondo e non ancora passato a diventare autocoscienza: quando si dice che tutte siamo "madri e figlie di noi stesse", si affronta un fatto di cui non sempre ci sentiamo responsabili.
Ma anche al maschile va esplorato il meccanismo del desiderio: quando, come donne, diciamo che la paternità non è ancora storicamente penetrata nel rapporto dell'uomo con la vita e la storia, di solito parliamo di certa nostra solitudine quando arriva un figlio. Solitudine che spesso non percepiamo, perché ci trasforma totalmente e ci ritroviamo solo materne; addirittura escludiamo e raffreddiamo il partner. Ma da quando abbiamo sentito che la coppia gay vuole un figlio, l'interrogativo si è posto in forma assolutamente nuova; nuova e autentica, forse soprattutto per i maschi che in questo caso non inquinano il loro poco indagato desiderio di un figlio con i principi ereditari, il potere, la propria riproduzione in un altro essere fatto a immagine e somiglianza del padre.
Questioni importanti; e degne di pensiero su nuovo senso delle relazioni, della natura, della cultura. Soprattutto delle potenzialità ancora rimosse, in un tempo in cui tutto è consumo, anche i figli; e poteri che non dipendono da noi - la tradizione, lo stato, le religioni, le ideologie - ci dicono che cosa dobbiamo fare. Anche della nostra intimità.
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