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Scelesta imago: “incauta expositio removere necesse est” - di Stefania Cantatore (Udi Napoli)

Scelesta imago: “incauta expositio removere necesse est” - di Stefania Cantatore (Udi Napoli)

La sindaca di Napoli protesta per il manifesto blasfemo che raffigura le Sante di Sebastiano Deva, mentre altrove…

Lunedi, 07/06/2010 -
L’approssimazione e la semplificazione che caratterizza l’ immaginario collettivo fa si che alla militanza ed al pensiero femminista, vengano sovrapposti altri attivismi femminili: suffragismo, esercito della salvezza, comitati per il decoro pubblico, pari opportunità, tutto si sovrappone e si confonde in un magma dal quale si astraggono e si utilizzano le parti più utili agli equilibri del momento.



Ho dalla mia infanzia un ricordo netto su quelle che comunque rimanevano icone dal sapore esotico: esercito della salvezza e suffragette erano accomunate da una ridicolizzazione sovrapponibile. L’attivista religiosa e la rivendicazionista, identificate in una rigidità frigida e goffa. Sull’intenzionalità della suggestione non ho dubbi. Come non ho dubbi che la modernizzazione in atto nel mio paese di allora volesse indurre una certa addomesticata “libertà di costumi”, anche attraverso quella suggestione.



Al tempo attuale, dove i fatti svelano che sono numericamente più rilevanti i bigotti che non le bigotte, quelle identità femminili si sono ufficializzate, e tra loro e sono capaci di convivere ed “insegnarsi” tecniche di sopravvivenza. Ma non sono la stessa cosa, e la confusione ancora una volta sta dentro l’incultura di chi non vuol capire.



Parlando di pubblicità, del perché ne parliamo, non si tratta di dare chiarimenti accademici e definitivi, a chi non ne vuole, sulle differenze. Si tratta di rispettare le valenze e la cifra di un’azione,la nostra, che, è vero, ha prodotto una delibera comunale a Napoli (contro la pubblicità lesiva della dignità femminile) non si sostanzia in quella, e non nel ritiro delle pubblicità genericamente offensive verso le donne.



Si è trattato per noi di guadagnare una regola, sulle orme di quelle scritte dall’Europa, che infrangesse lo strapotere automatico “dei possessori delle immagini” di porgere come lecite situazioni che in realtà costituiscono reato: parliamo di violenze contro le donne e di sfruttamento della prostituzione.



Noi agiamo, e sembra incredibile che ancora dobbiamo farlo, contro le apologie di reato, e possiamo per questo appellarci a delle regole.



Tutto il resto, lo facciamo affermando la nostra cultura e confrontandola con le altre e gli altri. Siamo vittime della censura, e non vogliamo censure ma cambiamenti profondi, anche nel rapporto tra media e donne.



Non abbiamo voluto essere né in comitati né in commissioni di filtro e di controllo, perché il messaggio di cui siamo portatrici non è trattabile: la violenza contro le donne a qualsiasi titolo non è relativizzabile ad usi e costumi, la violenza non appartiene alla sfera privata. È un reato e di ciò fortunatamente non si discute più, al momento.



Tutto il resto: gli stereotipi, le manipolazioni e tutto quanto opprime le persone sono il frutto secondario di crimine che si perpetra da millenni, e noi su questo crediamo si sia costruito un progetto che è antagonista, dalle sue radici, alla vita ed alla convivenza pacifica tra generi e popoli. Di fronte e contro questo progetto non ci sono regole da invocare, perché vengono aggirate e beffate, bensì c’è il nostro modo di confrontarci e di cercare nuovi sbocchi alla politica, di darle attraverso la nostra presenza pensante un nuovo stile di confronto, di modi e soprattutto di obiettivi: la persona e il rispetto delle risorse.



Nell’ambito di una regola, per ora solo comunale, che cita espressamente la dignità femminile, ognuna può cercare la sua dignità, ma non può apparentarla ai nostri intenti come spesso ci chiedono di fare.



Con tutto il rispetto, non siamo un comitato etico, non misuriamo il tasso erotico delle immagini, non vogliamo correggere ma invitare a ripensare, per quanto doloroso possa essere per chi ripensando abbandona dei privilegi.



Le gigantografie Mystica, meritano ben altra critica che non quella di chi scrive che appunto ha un suo gusto personale. Non vale nemmeno dire se sono gradevoli, irrituali, iconoclastiche per chi guarda, oppure ancora furbe o pompose. La critica, e prima di tutto il mercato instradato dalle suggestioni e sorretto dalle Istituzioni, decideranno le fortune della mostra.



Se quelle immagini offendono un senso religioso, non sappiamo. Certamente parlano dello sfruttamento del senso religioso, sempre a chi scrive. E come sempre se lo fa un uomo lo fa coi corpi delle donne e parlando solo di donne.



Se questo è male, Deva è in buona compagnia ed ovviamente se verranno ritirate le sue pubblicità non sarà per le femministe napoletane . Le femministe che vorrebbero capire come mai le critiche che ricalcano quelle del clero, infervorano le pagine dei giornali, mentre le loro azioni contro le apologie di reato siano motivo di disturbo, insofferenza e tacitazione.



L’ironia del titolo non è rivolta all’indignazione della Sindaca, ma all’eco di quella censura e quella moralizzazione che da troppi secoli i cleri hanno impongono alle donne.



Con tutto il rispetto, non in nostro nome

Stefania Cantatore (UDI di Napoli)

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