Lunedi, 10/08/2009 - Mentre eravamo impegnati nel simposio di Scampia (quartiere di Napoli, ndr) il Parlamento italiano ha votato, il 2 luglio scorso, una legge chiamata “pacchetto sicurezza” che mi sembra invece giusto definire legge razziale, con tutto ciò che la memoria di questo termine comporta.
In questa legge si definisce come reato la condizione di clandestinità e si punisce il fatto di essere stranieri.
Le persone prive di permesso di soggiorno non potranno sposarsi con cittadine o cittadini italiani, se si presenteranno nelle strutture sanitarie dovranno essere denunciate, le donne che diverranno madri non avranno il diritto di riconoscere la propria bambina o il proprio bambino.
Non occorre neppure ipotizzare per questa legge il dubbio di costituzionalità, si tratta a mio parere di una legge che, violando i diritti dell’umanità, costituisce una vergogna per il nostro paese e risulta, di fatto, illegale. Mi viene alla mente una frase di don Milani, diventata titolo di un suo splendido testo, ‘L’obbedienza non è più una virtù’.
Come artisti presenti al simposio abbiamo deciso di dire il nostro pensiero con i mezzi del nostro agire artistico.
Cesar Reglero Campos ha proposto di costruire insieme un’installazione che desse il senso della rovina e della distruzione operata da questa legge sui concetti di legalità, di civiltà e di democrazia. Un cerchio di materiali edilizi recuperati e, in mezzo alle rovine, il titolo dell’opera collettiva: ‘Ley racial’.
Io ho proposto una performance che amo, ‘Fili di vita’.
Si parte da una borsa di tela contenente gomitoli di lana di diversi colori. Ogni gomitolo rappresenta una vita, la vita di chi, ad occhi chiusi (non si può scegliere dove nascere) lo pescherà dalla borsa. … e si va! Attaccato il capo in un luogo sicuro (occorre cercare di partire bene nel percorso della vita) ciascuna, ciascuno, dipana il suo filo, se lo desidera incontrandosi e intrecciandosi con le altre persone.
Quando ogni persona termina di svolgere il filo appare una rete multicolore, una grande ragnatela nella quale sarebbe faticoso recuperare il percorso di ciascuno e nella quale anche il filo del colore che non piaceva, tessuto insieme agli altri, assume un suo ruolo e una sua bellezza.
Basta toccare un filo, si muovono tutti. Così è il ricordo, quando si pensa ad una persona che non c’è più tornano alla mente situazioni e avvenimenti nel corso dei quali ci si vede insieme.
A Scampia questa performance che mi è piaciuto negli anni proporre in diverse situazioni ha assunto un ulteriore significato.
Prima di far passare la borsa tra le persone presenti ho esplicitato le ragioni del dissenso di artiste ed artisti ed organizzatosi rispetto alla legge razziale e ho chiesto che solo le persone che condividevano il nostro punto di vista pescassero il gomitolo e partecipassero alla performance.
Tutte, tutti, più di ottanta persone, abbiamo pescato il gomitolo; tutte, tutti abbiamo intrecciato le nostre vite con allegria.
Alla fine, quando si è detto “Non possiamo lasciare qui tutti questi fili” e ci si è chiesto: “Cosa ne facciamo?” Iil senso, alto, della consapevolezza collettiva, è stato reso dalla decisione di fare un gomitolo delle vite di tutte e di tutti e di porlo, affidandone la collocazione a due splendide bimbe di Scampia, in mezzo all’installazione ‘Ley racial’.
E il gomitolo è là, a dire: “Nel mio paese, nessuno è straniero”.
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