Santa Febronia, era la bella Diva in mezzo ai fiori...
Biaggio Giardina…Chi era costui? Santa Febronia…Chi era costei? Ce lo dice Nicola Tindaro Calabria in un libricino veramente illuminante, Biaggio Giardina e alcuni sonetti dedicati a Santa Febronia, Edizioni Montalbano, 2022.
Biaggio Tommaso Giardin
Lunedi, 23/01/2023 - Santa Febronia, Era la bella Diva in mezzo ai fiori…
Biaggio Giardina…Chi era costui? Santa Febronia…Chi era costei? Ce lo dice Nicola Tindaro Calabria in un libricino veramente illuminante, Biaggio Giardina e alcuni sonetti dedicati a Santa Febronia, Edizioni Montalbano, 2022.
Biaggio Tommaso Giardina è un poeta pattese completamente sconosciuto, autore di centinaia di sonetti e di un’opera dedicata a Santa Febronia dal titolo “Accademia”. Per la nostra Concitatina Pattese S. Febronia nel anni 1822 nel giorno 23 luglio. Composta dal Dr. D. Biaggio Tommaso Giardina di Patti rappresentata nella chiesa dei R.P.P.R. Reformati sotto titulo di S. Maria di Gesù. Ed altre diverse poesie del medesimo Autore di Giardina secondo l’occurenti occasioni.
Nel manoscritto si trova un sonetto dedicato al terremoto del 1823 che riporto qui di seguito perché racchiude la fede dei pattesi per Santa Febronia, considerata da sempre la protettrice dei terremoti che hanno devastato nel corso dei secoli la città.
L’opera citata e dalla quale abbiamo estrapolato alcuni dei sonetti riportati in queste pagine si compone di 76 facciate.
Dell’ autore sappiamo poco e le scarne notizie autobiografiche si trovano in un memoriale che lui stesso scrisse indirizzandolo al Re.
Nacque probabilmente alla fine del Settecento e morì dopo il 1850. Oltre al diritto si dedicò alla poesia e alla lettura e traduzione dei classici latini e greci.
È autore anche di una simpatica e scherzosa poesia sul carnevale in dialetto siciliano e di una bellissima ecloga.
La pubblicazione dell’opera integrale del Giardina permetterebbe ai pattesi di conoscere un loro illustre concittadino, finora rimasto nell’ombra e sconosciuto anche agli studiosi di storia patria (op. cit., Nicola Calabria, Introduzione, pp. 11-13).
Il merito di Tindaro sta nel riproporre questi personaggi per lo più sconosciuti, nel rafforzare presso i pattesi l’appartenenza alle proprie radici ma, soprattutto, a mio avviso, nel riportare alla luce, in un momento così difficile per la chiesa, un fervore spirituale semplice e genuino, fuori dal comune. Come dice lo stesso Nicola, possa questo libro aiutare a riscoprire il ruolo della Fede nella nostra quotidianità (Nicola Tindaro Calabria, A Gesù, Preghiere (1995-2000), Montalbano, 2018). Queste vicende ci ricordano che ancora oggi il martirio dei cristiani è in atto e quello di Santa Febronia fu uno dei più atroci della storia.
Nella sua forma tipica, il sonetto è composto da quattordici versi endecasillabi, raggruppati in due quartine a varia forma metrica (abab, abba, ) e in due terzine a rima varia (cdc). La scelta del sonetto è dovuta al fatto che si tratta di un componimento di una certa brevità, quasi a dire "piccolo suono", una breve melodia, quindi una lode alla Santa.
I componimenti poetici sono ben collocati e caratterizzati geograficamente: si parla del Timeto, un fiume siciliano a carattere torrentizio le cui acque attraversano i comuni di San Piero Patti, Librizzi e Patti, si parla del tempio di Giove, secondo la tradizione situato sul monte chiamato Mongiove, che, a quanto sembra, è crollato durante il terremoto del 1823.
I protagonisti sono due: Santa Febronia e il terremoto o meglio i mali del mondo.
Come è definita la Santa? Ninfa del Ciel…donna giovane e bella, sposa, divinità. Infatti, prima di tutto è vista come una fanciulla, una donna, e come tale è bella, le sue guance sono tinte di bel pudore, di timidezza, di candore (è una ragazza! vergin bella…), la bocca è rossa (il cinabro è un minerale dall'aspetto rossiccio), il viso celestiale e luminoso, gli occhi splendenti, lo sguardo sereno e grato. Poi, in un secondo momento, c’è la Santa, invitta, invincibile, vaga Donzella. L’aggettivo vago è ripetuto tante volte ed esprime un'idea di bellezza e di splendore lontano. Lontano e indefettibile proprio come si addice a una Santa, tanto quanto è precaria la nostra vita sulla terra.
Queste le posture della Santa:
Sfolgorante il suo braccio e alla man dritta
Lucido acciajo che risplende a fronte
Di verdi allori una Corona infronte
Parmi veder la bella Dea Giuditta
ricordiamo che suoi attributi sono la palma, la croce, il libro del vangelo, talvolta anche la tenaglia o la spada, queste ultime a ricordarne alcune fasi del martirio
(op. cit., p. 15)
oppure
Vidi vagha Donzella a me si grata
Risplendente in un poggio ove sedea
ella così parlando a me dicea
Mira e vedi chi son alma ben nata
Trofima sola ne riporto il vanto
Cinta nel ciel di lodi e grande onore
Mercede al mio morir al mio gran pianto
(op. cit., p. 27)
Seduta, certo sì, nel prato, fra l’erbe, cinta di fiori, ma diremmo in trono, regale, Trofima – sempre vaga -, risplende sempre, perché luminosa è la sua anima (alma ben nata)! Questi aggettivi, questi verbi - sfolgorante, lucido, risplende - non sono riferiti solo alla spada che impugna, ma sono sue stesse qualità: Febronia è d’acciaio! E ancora, santa Febronia è costante e forte,
Il terremoto è descritto in tutta la sua forza distruttrice: il tempio di Giove – gran Tempio -, con tutte le sue bellezze rare, cade sul suolo e precipita in mare e non tornerà mai più come prima: (…) la Santa volle una Croce in questo monte alzare (op. cit., p.17), croce con cui è rappresentata. Il terremoto genera sgomento, tutto sconquassa, la natura non è più la stessa e la gente corre a chiedere suppliche e voti alla gran Dea del Cielo. A Trofima, accesa un dì di santo amore, il compito di fare guerra – di abbattere - alla idolatria, all’orgoglio, alla falsità, alla terra che trema. Novella Giovanna D’Arco, Santa Febronia, ardita e snella, è pronta alla battaglia:
Vidi vagha Donzella in su l’aurora
cinta di scudo ed elmo armato il braccio
avea dal collo suo pendente un laccio
Seco portando una feretra ancora
Patti è salva perché Chi fida in Dio non sarà mai che pera (op. cit., p.33).
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