Domenica, 17/02/2013 - Il primo Festival dove buona forma, contenuti e qualità raggiungono il massimo dell’autenticità, del sano divertimento. La coppia Fazio - Littizzetto riesce a far rilassare un pubblico solitamente impegnato a dover “rimirare” un altro genere di conduzione e di modelli proposti: tutto perfettamente funzionante in questa edizione, dai dettagli alla scelta della qualità musicale fino alla satira e agli ospiti d’onore. Importante l’interpretazione dei grandi autori da parte dei concorrenti, per capire veramente il loro talento, spesso offuscato da scelte che ne attenuano anche le qualità tecniche. A tale proposito il vincitore ha dato un’interpretazione eccellente di Luigi Tenco, ma la canzone vincente è davvero un prototipo di stile italiano o del talento di un cantautore più rappresentativo dell’anima di popolo?
La qualità è il tema dominante di questo 63° Festival della canzone italiana, eppure è così difficile diventare buoni elettori, proprio come suggerisce Claudio Bisio. Forse non è difficile soltanto nella scelta dei politici, perché all’origine c’è lo stesso impedimento: il condizionamento. Si comincia da piccolissimi con la dipendenza dalle mode. Già un bambino di tre anni può rifiutare un bellissimo orsetto lavorato a mano, con fantasia e amore, giocattolo tra l’altro adeguato per un sano sviluppo dei sensi, preferendolo a un gioco pubblicizzato in TV, attraverso i personaggi di brutti cartoni animati, magari realizzato con materiali anche inadeguati o comunque pedagogicamente poco sano per un adeguato sviluppo della sua personalità. Ci si accorge del pericolo della dipendenza quando un bambino molto piccolo inizia a preferire un cellulare o un gioco informatico alla sana creatività del disegno o del gioco libero con altri bambini. La dipendenza dalle mode pericolose è immediata e il magnetismo di un mondo della sub-natura cattura la sua anima! Alla stessa stregua il televoto proviene da tanti “giovani-bambini” già dipendenti dai programmi TV, dai modelli dominanti proposti non soltanto per la loro bravura, ma per una serie di alchimie-combinazioni che solo chi ha già avuto simili contatti professionali può riconoscere. Il mistero della notorietà e del modello dominante è frutto di complessi fattori, non sempre adeguati allo sviluppo di una sana personalità. A chi è utile credere che una ragazza marocchina sia nipote di Mubarak? I meccanismi psicologici sono simili a quelli che hanno permesso a un Parlamento di far finta di credere all’assurda versione dei fatti. Non parliamo poi dello slogan “magistrati = pericolosi giacobini…”, eppure a forza di ripeterlo è come un tarlo che inizia il suo insano compito. La menzogna penetra in profondità, fino a intaccare il senso della verità e tutti gli altri sensi. Nella musica è molto difficile riconoscere la qualità, perché si richiede una maturità anche tecnica. Per dirla tutta è deontologicamente corretto che a giudicare siano persone che collaborano per anni con i concorrenti in gara, anche se l’importante è comprenderne il talento? Eppure il vero talento in un autentico Maestro è intuibile, ma se l’anima è tarpata dalle mode imposte da alcuni programmi televisivi è veramente difficile sviluppare liberamente quel senso artistico indispensabile per riconoscere un qualcosa di universale, che non sparirà con le stesse mode televisive, ma che durerà in eterno. Raphael Gualazzi, ad esempio, potrebbe riassumere le qualità di diversi cantautori italiani, di big, di grandi artisti che contrariamente a altri modelli costruiti, non hanno mai avuto bisogno di alcun X, o di Amici, poiché penetrati nella memoria collettiva e saggezza popolare per l’originalità e il talento. Nomi, tra gli altri, come Tenco, De André, Guccini, Dalla, Conte, non necessiteranno mai di alcun televoto per essere ricordati e amati come veri Maestri. Malika Ayane, ad esempio, non è minimamente paragonabile per la bellezza della sua maturità vocale a altre voci a dir poco neonate, anche se sponsorizzate da programmi famosi.
Forse non è soltanto una questione di gusto o di contenuti generazionali caratterizzanti un’epoca, ma di una sorta di pessima abitudine a imporre con la solita tracotanza del potere le mode ai giovani, forse ignari dei continui e dannosi condizionamenti. Un potere, a sua volta ignaro di un vuoto che lo caratterizza da conquiste non combattute e per questo forse nemmeno comprese. Ci si augura che la dipendenza evolva, altrimenti il rischio per tutti è di ritrovarsi anche in politica, altri leader simili a quelli già subiti.
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