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Sanità pubblica e disuguaglianze sociali

Sanità pubblica e disuguaglianze sociali

Salute bene comune -

Michele Grandolfo Venerdi, 04/12/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2015

 Un servizio sanitario pubblico ha ragione di esistere se è in grado di ridurre gli effetti delle disuguaglianze sociali sulla salute. Analizzare gli indicatori di salute specifici per condizione sociale è una obbligazione assoluta per autorità politiche, amministrative e tecniche che si assumono la responsabilità di governo. È altresì di interesse delle varie professionalità sociosanitarie avere consapevolezza dell’esistenza di eventuali divari degli indicatori nelle stratificazioni sociali per gli stimoli di riflessione sulle strategie operative e sui modelli di comunicazione adottati con le persone. È, infine, di interesse inderogabile per le comunità acquisire analoga consapevolezza, anche al fine di verificare con quale risultante qualità le risorse messe a disposizione con le tasse vengono impiegate e agire di conseguenza in forme adeguate perché i modelli operativi vengano modificati in modo da ridurre, se non annullare, le differenze osservate.

Infatti, l’esistenza di differenziazioni di stato di salute per classe sociale è un segnale potente del malfunzionamento del sistema a parità di risorse impiegate. Quando si afferma che la salute è bene comune si intende sostenere che la salute di qualsiasi persona in una comunità dipende da quella di tutte le altre presenti, a qualsiasi titolo, nel territorio considerato.

Accettare le differenze e giustificarle non è solo odioso e razzista, è soprattutto miope e stupido. La progressione della tassazione a seconda del reddito ha anche questo aspetto come suo fondamento.

Si possono portare molti esempi che dimostrano la validità di quanto affermato. Quello più luminoso per il risultato e per l’universalità è rappresentato dall’eradicazione del vaiolo. Scomparso da diversi anni nel mondo industrializzato, grazie alla vaccinazione, perseguire l’obiettivo di eliminare la circolazione del virus in ogni angolo della Terra, per quanto remoto, era fondamentale per interrompere la profilassi vaccinale che comportava effetti collaterali gravi (ma inferiori alle devastazione della malattia). Così ci fu un grande impegno a livello internazionale ad applicare con intelligenza scientifica valide strategie operative, impegno facilitato, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, da più bassi livelli di azioni di guerra nel mondo. Intelligenza scientifica e solidarietà internazionale sono state le carte vincenti giocate prendendosi cura degli ultimi degli ultimi della Terra. Dopo due anni dall’ultimo caso di vaiolo scovato dal sistema di sorveglianza attivo internazionale, finalmente si poté dichiarare il vaiolo eradicato (dicembre del 1979) e, conseguentemente, eliminare la necessità di vaccinare da allora le nuove coorti di nati in tutto il mondo e non pagare più il costo delle complicazioni gravi da vaccino. Occuparsi in modo scientifico degli ultimi ha prodotto un beneficio di salute per tutti.

In generale se si lavora male o non si raggiungono le persone che vivono in condizioni di marginalità sociale ciò è dovuto a una attitudine che si può riassumere nello schema del paternalismo direttivo, ma tale attitudine favorisce gli sprechi e impedisce di avere migliori esiti di salute anche per le persone più abbienti, perché il paternalismo direttivo si basa sulla dipendenza e sull’acquiescenza al comando mentre migliori esiti si ottengono quando si opera facendo emergere, valorizzando, promuovendo, sostenendo e proteggendo le competenze delle persone e delle comunità.

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