Domenica, 13/06/2021 - No, nemmeno noi cittadini e cittadine abbiamo espresso tutto quello che c'era da dire. La storia di Saman non può venire ricondotta semplicemente ad una pratica di barbarie pakistana anche se il contesto è quello di gente che proviene da un paese in cui la vita è condizionata da pregiudizi secolari di onore criminale. Di fatto sono livelli generalizzabili dell'umano che rifiuta di vedere la tragedia universale della cultura patriarcale e vuole rimuovere la violenza agita da quella presenza nella storia di tutti.
Il multiculturalismo e l'integrazione, di cui ci vantiamo e che vorremmo praticare al meglio, non perseguono i fini anche istituzionali che li promuovono, perché si evita di affrontare il problema a partire dalla differenza originaria femminile. Senza partire dalla cultura delle donne e dei differenti livelli di vita in cui sono situate non si riesce a vedere che la cultura del patriarcato precede ogni antropologia e dimostra una natura criminogena nei confronti delle donne.
I pregiudizi viziano ancora le nostre generazioni: qualche genitore piemontese non si entusiasma se la figlia esce con un meridionale, mentre lo lascia tranquillo un ricco con macchina smart. Sarebbe meglio invece pensare alle aspettative della ragazza e alla sua libertà, non così sicura. Nessuna pietà per i genitori che uccidono una figlia, ma, se fosse loro il video con il rito funebre senza la salma che si è visto in giro, forse hanno sofferto per una decisione che "dovevano" prendere per rispetto di tradizioni che hanno imposto ai padri di essere padroni del corpo delle figlie e di regolare sul suo possesso genitoriale il giusto giudizio morale.
In passato figlie e anche figli maschi venivano sposati dalle famiglie con espliciti riferimenti a convenienze, interessi e alleanze della famiglia: la coppia conviveva pur disamorata, faceva il suo "dovere" (che la giurisprudenza precisava "coniugale", rispondente ai bisogni sessuali e riproduttivi della specie) e, mentre i maschi nobili erano consapevoli di conservare titolo e patrimoni e di potersi prendere tutte le libertà possibili, il plebeo obbediva a padroni che chiedevano braccia. Per le ragazze la prima notte di nozze era lo stupro subito da uno sconosciuto: i genitori, madri comprese, lo sapevano. Se l'amore non veniva "dopo" con i figli, come insegnavano i vecchi, restavano le gioie della famiglia, ma se ci fossero tentazioni e tradimenti, il codice penale e il giudizio del prossimo era contro la donna. Quante saranno state quelle che, per sfuggire una vita così, hanno scelto il convento? Quante sono state scacciate di casa e destinate a diventare prostitute perché non avevano studiato e non avevano altra via? Quante le suicide? Non sono registrate - tranne qualche diario negli archivi femministi - le segregazioni e le punizioni per ottenere l'obbedienza.
Il disonore ha giustificato il matrimonio riparatore, in Italia decaduto nel 1981.
L'assassinio di Saman ci fa inorridire, ma prima delle sacrosante condanne penali non previste in paesi in cui le donne sono schiave, pensiamo alla necessità di grandi campagne in nome dei "diritti umani delle donne" e a politiche internazionali che sanzionino i paesi in cui alle ragazze non è consentito il diritto alla scuola, e che affrontino l'origine criminogena del patriarcato che, in fondo, fa male anche agli uomini che si sobbarcano l'onore virile come dovere e praticano i femminicidi.
Quello di Novellara dove ha perso la vita l'immigrata Saman che non frequentava più la scuola è stato un femminicidio.
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