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Salute, nome comune femminile

Salute, nome comune femminile

Rimini / Scienze - I farmaci ‘tarati’ sull’uomo, sono usati più dalle donne. Un focus sul benessere della donna

Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2008

Il Polo scientifico e didattico di Rimini, sede riminese dell'Università di Bologna, ha voluto affrontare il futuro dell'universo femminile nel terzo millennio avvalendosi di scienziati per discutere con il pubblico, le categorie e le associazioni socialmente utili, donne nello sport, donne e arte, nella moda e nel rapporto con il corpo, e poi donne e salute, portando alla luce inediti elementi critici della nostra società. Significativo è il punto sulla qualità della vita al femminile fatto dalla Società Italiana di Farmacologia (Sif), la Società Italiana di Tossicologia (Sitox), in collaborazione con le università italiane, e ripreso anche da quotidiani e riviste di settore. E’ emerso che le donne sono sottorappresentate nei trials clinici cioè le fasi che portano alla progettazione dei nuovi farmaci. L'uomo, infatti, è un modello sperimentale più affidabile perché privo di variabili come i cicli ormonali e altri fattori confondenti. Anche la gravidanza è un elemento che esclude le donne dalla sperimentazione; non semplicemente per le alterazioni fisiologiche incompatibili, ma soprattutto per gli ovvi e notevoli rischi a carico del feto. Di fatto, come spiega Patrizia Hrelia, ordinario di tossicologia all'Università di Bologna, “Se un farmaco non è studiato a sufficienza sulle donne non c'è modo di sapere se è sicuro e efficace proprio sulle donne”. C'è quindi urgenza di elaborare test alternativi, perché “il farmaco di oggi è classicamente progettato per l'uomo bianco, tra i venti e quarant'anni, dal peso medio di settanta chili”. Un profilo che lascia da parte certamente le donne, ma anche bambini e anziani. “Invece, purtroppo, sono proprio le donne – nel resoconto di Flavia Franconi dell'Università di Sassari – a essere le maggiori consumatrici di farmaci, soprattutto per le esigenze di genere come la contraccezione e le terapie in menopausa”. La relazione presentata al Polo scientifico e didattico di Rimini, è stata parte del ‘Rapporto sullo stato di salute delle donne’, a cura della ‘Commissione Salute delle donne’ presieduta da ministri e parlamentari della scorsa legislatura. “La ricerca denuncia anche i principali pericoli per la nostra vita – commenta Maria Grazia Modena, dell'Università di Modena -. Le malattie cardiovascolari oggi sono responsabili del 46,8% dei decessi femminili totali, mentre, al secondo posto, il cancro contribuisce per il 23,8%”. Il dato sulle malattie cardiovascolari disconferma la proverbiale longevità del cuore delle donne rispetto a quello degli uomini, colpiti mortalmente da ictus e infarti solo nel 38,7% dei casi. Donne dal cuore debole quindi, eppure con grandi responsabilità: secondo Silvana Hrelia, professoressa di biochimica della nutrizione all'Università di Bologna, “la donna è l'attore principale nella dispensazione del cibo, dalla raccolta alla preparazione alla somministrazione, in tutte le società”. Le donne producono più del 50% di tutti gli alimenti presenti sulla Terra. Nella zona subsahariana e caraibica dal 60% all’80% della produzione agricola è in mano alle donne, il 50% in Asia.
Ancora differenze di genere nella relazione della biochimica di Bologna, che denuncia l'aumento dei casi di aborto del feto femmina in Cina, dove le cure parentali sono soprattutto dedicate ai maschi. Un dramma legato all'importazione delle nuove tecnologie, che oggi permettono ecografie e diagnosi prenatali anche nei paesi in via di sviluppo. È in questi paesi che la donna è più esposta dell’uomo alla malnutrizione, tuttavia l'Oriente conosce per la prima volta anche i disturbi alimentari dilagati con la globalizzazione, come l'obesità. Secondo i dati, in Occidente, invece, incidono ancora profondamente le ‘malattie del benessere’: bulimia, anoressia, ma anche gli aspetti nocivi delle mode macrobiotiche e biologiche, inefficaci o addirittura dannose, troppo chiacchierate, spesso dalla bocca dei non esperti. È con queste considerazioni che le università sottolineano le sfide di quella che oggi viene chiamata ‘società della conoscenza’, la società che produce non più, come un tempo, solo beni di consumo ma soprattutto sapere.

*(In collaborazione con Marco Pivato, giornalista scientifico)

(10 settembre 2008)

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