Sabato, 29/03/2014 - Saint-tropez, Colette & company
La Costa Azzurra fu un’invenzione degli americani. Negli anni Venti del Novecento, prima Cole Porter, musicista di genio, e poi Gerald e Sara Murphy, miliardari con la passione delle arti e degli artisti, fecero quella che qualcuno definì in seguito «la rivoluzione d’estate».
Il primo affittò per l’intera stagione del 1921 lo “Château de La Garooupe” a Cap d’Antibes, i se-condi convinsero l’anno dopo il manager del locale “Hôtel du Cap” ad aprire solo per loro da giugno a settembre, con una cuoca e una cameriera per le faccende domestiche. Fino ad allora, «nessuno che fosse qualcuno» come scrisse Elsa Maxwell per rendere meglio il senso di quella rivoluzione, «veniva avvistato nel sud della Francia durante luglio e agosto».
Il Mediterraneo era ritenuto un mare interno, caldo perché stagnante, e d’estate la villeggia-tura degli aristocratici di sangue e di censo, francese e anglosassone, tedesca e russa, si faceva sulle isole del Canale della Manica o sulle coste dell’Atlantico. In “Lasciami l’ultimo valzer”, Zelda Fi-tzgerald, la moglie bella e pazza dell’autore de “Il Grande Gatsby”, racconta di come sui transatlan-tici che collegavano gli Stati Uniti all’Europa, i viaggiatori esperti mettessero sull’avviso i novizi riguardo ai pericoli che li attendevano: «I loro bambini avrebbero preso il colera, gli amici sarebbero stati morsicati a morte dalle zanzare francesi, da mangiare avrebbero avuto solo carne di capra e niente ghiaccio nei liquori».
Della Costa Azzurra diventerà il compendio Saint-Tropez, con un uso squisitamente france-se. E’ proprio Signac a scoprire questo luogo nel 1892 a bordo del suo yacht, “L’Olympia”. Sedotto dai luoghi, invita nella sua casa che si chiama “La Hune” numerosi pittori tra i quali Henri Matisse, André Derain, Albert Marquet, Pierre Bonnard, Henri-Edmond Cross. Saint-Tropez diventa un luo-go all’avanguardia per quanto riguarda la pittura. Signac, Matisse, Dunayer de Segonzac si ritrova-vano al bar dell’ “Hôtel Sube”, dove adesso c’è il “Café de Paris”. Poi è stata la volta della regina dell’operetta Mistinguette, dei registi Julien Duvivier e René Clair. E’ a “La Ponche”, come quar-tiere, come luogo e come ritrovo, che nel dopoguerra arrivano da Parigi gli «esistenzialisti»: si chiamano Juliette Gréco, Boris Vian, Daniel Gélin, Pierre Brasseur, attori, musicisti, scrittori, can-tanti che lo ribattezzano “Saint-Tropez-des- Prés”, lo trovano magico, come scriverà la Gréco, «per bere, ballare, nuotare, dormire al sole e fare l’amore». È di Vian il suggerimento ai genitori di Si-mone, di aprire un locale notturno adiacente al bar. Il “Club Saint-Germain-des-Prés La Ponche” a-pre i battenti nel 1949: Boris suona la tromba, Mouloudji la chitarra, il negro americano Don Byas il sassofono, il gitano Pata le batterie. Ci vanno Eluard, Sartre, Picasso, Annabelle Buffet. Negli anni Cinquanta, come ricorda ancora Simone, che della storia del suo albergo è giustamente fiera, tanto da averci scritto sopra un libro (“Hôtel de La Ponche. Un autre regard sur Saint-Tropez”, Le Cherche Midi Editore), “La Ponche” e con lei Saint-Trop entrano definitivamente nella leggenda. Succede che, più o meno contemporaneamente, il vecchio bar diviene un albergo. La giovanissima Françoise Sagan (“Il sole, la velocità, la festa e l’allegria” questo era il motto di Françoise Sagan che sbarcava ogni estate a Saint-Tropez, scortata da Jacques Chazot, Juliette Greco e da tutta la sua banda per vivere la dolce vita del posto) si ritrova scrittrice di successo, Roger Vadim gira proprio a «la punta» “Et Dieu créa la femme”, il film che fa di Brigitte Bardot la nuova divinità da adorare, quella stessa Brigitte che pochi anni prima, ancora ragazzina, «veniva al mattino presto, con i geni-tori, a divorare le tartine di pane abbrustolito di mia madre”. “La Ponche”, l’albergo, è rimasto più o meno lo stesso, pur se Simone lo ha ammodernato e ingrandito, diciotto camere al posto delle otto che lo tennero a battesimo. Alle pareti adesso ci sono i bei quadri di Jacques Cordier, il marito pitto-re morto troppo giovane in un incidente di macchina, e dalla finestra della camera 19, quella di Fra-nçoise Sagan, vedi la stessa piccola spiaggia di mezzo secolo fa, e «lo stesso mare, lo stesso blu, lo stesso rosa, la stessa felicità» che vedeva lei, prima che la vita le presentasse il conto.
Nell’agosto del 1926, Colette (Sidonie Gabrielle Colette, 1873-1954) compra vicino a Saint-Tropez una piccola proprietà di due ettari divisa tra vigna, un bosco di pini, un orto di aranci e un giardino dove troneggia una casetta provenzale molto modesta ben presto battezzata “La Treille Muscate” in virtù della presenza di una vigna di vino moscato “la cui pancia tesa riflette in blu il giorno” e si ostina a coprire il pozzo “con il suo nome ed i suoi tralci“. Colette vi soggiornerà almeno tre mesi fino al 1938: “E’ stato necessario che, per trovarla, io mi distaccassi dal porticciolo me-diterraneo, dalle imbarcazioni per la pesca del tonno, dalle case piatte, dipinte, rosa confetto sbiadi-to, blu lavanda, verde tiglio, dalle strade dove aleggia l’odore del melone sventrato, del croccante e dei ricci.
L’ho trovata sul bordo di una strada temuta dagli automobilisti e dietro il più banale cancello – ma questo cancello è soffocato dagli oleandri, premurosi nel tendere al passante, tra le sbarre, mazzi incipriati di polvere provenzale, bianca come la farina, più fine del polline…
Due ettari, vigna, aranceti, alberi di fichi dai frutti verdi, alberi di fichi dai frutti neri; quando avrò detto che l’aglio, il peperoncino e la melanzana riempiono, tra i ceppi, i solchi della vigna, non avrò detto tutto?” (Prisons et Paradis, 1932, traduzione di Fausta Genziana Le Piane).
Il suo stabilirsi in Provenza è simbolicamente diverso da tutti gli altri suoi spostamenti: rian-noda qui le radici paterne e si confronta anche con un aspetto fino ad ora inesplorato delle proprie origini; non dimentichiamo che il padre era originario di Tolone. E’ piena di ardore nell’installare la sua “provincia” meridionale, fa costruire una veranda sotto la quale potrà dormire d’estate e si occupa alacremente di abbellire il giardino. Lo rimodella stupendo il giardiniere Etienne più abituato alle bordure di aiole parallele come “griglia per cotolette” e lo consacra volontariamente all’incanto della curva per ottenere “un giardino dove si può raccogliere tutto, mangiare tutto, lasciare tutto e riprendere tutto”
Qui invita i suoi amici – il “clan cannebier” -, Francis Carco, Joseph Kessel, Paul Géraldy, che Colette inizia alla degustazione del tè verde, l’attrice Simone Berriau e soprattutto molti pittori Luc-Albert Moreau, André Dunoyer de Ségonzac.
POLLO ALLA GRIGLIA DE LA TREILLE MUSCATE
“Frutta, legumi, pesce e ogni tanto la metà di un giovane pollo delicatamente innaffiato di olio e grigliato all’aria su braci di finocchio e rosmarino…” (C.A.A. BILLY, Intimités littéraires, 1932)
Spaccate due polli da 1,5 kg. Mettete le 4 metà salate e pepate a marinare in un generoso ba-gno d’olio d’oliva aromatizzato con aglio schiacciato, semi di finocchio, rami di rosmarino e succo di un limone. Sopra una griglia, fate una bella brace di legno l’olivo, finocchio e rosmarino. Mettete il pollo sulla griglia. Non abbandonatelo; rigiratelo e spennellatelo regolarmente, evitando che la brace s’infiammi. Lasciatelo grigliare per 30 minuti. Per accompagnare il pollo, approfittate della brace profumata per grigliare alcuni pomodori succosi dopo averli salati e pepati.
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