Mercoledi, 24/08/2022 - Artista poliedrico e sorprendente, Ruggero Savinio è in questo periodo a Palazzo Reale con una mostra, Ruggero Savinio. Opere 1959-2022, promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, e Silvana Editoriale, produttrice anche del catalogo.
Ruggero Savinio (Torino 1934) torna così a Milano con un’esposizione antologica che presenta al pubblico alcune opere in parte inedite, o che non si vedevano da molto tempo, provenienti da collezioni pubbliche e private, ma anche dai depositi del Museo del Novecento, che ripercorrono per intero la sua vicenda artistica e biografica. Sono passati ventitré anni dal 1999, quando Milano ospitò nella Sala Viscontea del Castello Sforzesco una grande mostra dell’artista.
L’esposizione, che raduna dipinti, disegni e opere su carta, alcune opere in parte inedite, prende avvio dagli anni di formazione di Savinio avvenuti fra Roma, Parigi e soprattutto Milano: la città è teatro di una delle sue stagioni più intense e tormentate, quando l’artista era in cerca di un luogo dove radicarsi e trovare una propria identità umana ed artistica.
La storia raccontata in questa mostra - affidata a un gruppo di studiosi coordinato da Luca Pietro Nicoletti, il Curatore - non è quella del figlio di Alberto Savinio e del nipote di Giorgio de Chirico, numi tutelari – padri indiscussi della METAFISICA - mai rinnegati, ma tutto sommato lontani, eco sullo sfondo di questa esposizione: è, invece, il racconto autonomo di un uomo che ha fatto della pittura, come scrisse lui stesso nel 2008, la «melodia interna» della sua vita. Dei tre de Chirico, infatti, Ruggero è sicuramente quello più 'pittore', che pur amando la letteratura e portandone le care e grandi ombre nel proprio immaginario visivo, ha capito che la via, per lui nato negli anni Trenta del Novecento, era di recuperare quel valore retinico della pittura che si disfa sulla tela, tutta colore e materia.
Savinio punta, come ha scritto nel 2019 ne Il senso della pittura, a un ‘assoluto’ pittorico scevro da possibili altre implicazioni, capace di guardare ai maestri del passato con la freschezza di una scoperta declinata al presente. Non un’arte che descrive, la sua, ma «una sorta di abbandono alla vitalità della pittura».
Mentre il Novecento, quello a cui appartiene, è ‘altro’, un ‘luogo’ in cui soffia un vento nordico placato dalle luci del Mediterraneo, fedele alle proprie ragioni interne e indifferente alle mode più chiassose e mondane dell’arte del secondo Novecento. Ai ritmi del consumo dell’arte contemporanea, infatti, Savinio ha opposto una composta e imperturbabile visione del mondo, che abbraccia il Götterdämmerung - il Crepuscolo dei Divin Poeti. Sotto l’epidermide sensibile di una pittura fatta di piccoli tocchi, che l’artista stesso nel 1996 ha definito una «peripezia luminosa», e che conduce in luoghi ameni e idilliaci, c’è infatti un velo di malinconia e di inquietudine: nostalgia, forse, di una perduta “Età dell’Oro”. La vita e l’immaginario di Savinio sono costellati di luoghi fisici e letterari e non a caso la mostra di Palazzo Reale propone, in cinque sezioni, dipinti, disegni e opere su carta dall’inizio degli anni Sessanta al secondo decennio degli anni Duemila, mettendo in evidenza il rapporto fra ricerca pittorica, cultura letteraria e memoria autobiografica.
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