Roya, Alka e il loro festival. Un messaggio di speranza - di Simona Lanzoni e Barbara Gallo
Afghanistan - Le avevamo conosciute nel 2008. Giovani determinate a fare le registe, un lavoro impensabile in Afghanistan per le donne. Le abbiamo sostenute con il progetto ‘Il sogno di Roya e Alka’ e oggi...
Redazione Venerdi, 04/12/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2015
Le avevamo conosciute nel 2008. Giovani determinate a fare le registe, un lavoro impensabile in Afghanistan per le donne. NOIDONNE le ha sostenute con il progetto ‘Il sogno di Roya e Alka’, che molte nostre lettrici ricordano. Il sogno ha contaminato la realtà e dopo anni le incontriamo di nuovo e guidano un loro progetto: un Festival internazionale del cinema delle donne. Entrambe sono diventate madri e sono cresciute professionalmente, nonostante le condizioni del loro paese e delle donne nel loro paese. Nonostante tutto. Poche settimane fa si è concluso, in Afghanistan, il Festival Internazionale del cinema delle donne che si è tenuto dall’11 al 13 ottobre. Il festival ha avuto luogo nella splendida ed antica città di Herat, una cornice ideale per le immagini e le parole di coloro che hanno voluto raccontare frammenti di un mondo fatto di realtà, drammi quotidiani e speranze. La rassegna cinematografica per la sezione Afghanistan ha trattato quest’anno il tema delle discriminazioni e della violenza alle donne e alle bambine. Questa è la terza edizione del festival ed è stato realizzato grazie alla caparbietà di Roya e Alka Sadat, due sorelle registe che NOIDONNE ha conosciuto anni fa e ha dedicato loro il progetto ‘Il sogno di Roya e Alka’.
È proprio grazie a NOIDONNE che Simona Lanzoni, attivista per i diritti umani (componente GREVIO per la convenzione di Istanbul) e parte di Fondazione Pangea, le ha conosciute. Lei lavora in questo paese dal 2003 con il progetto Jamila a Kabul per promuovere l’empowerment economico e sociale delle donne e per contrastare le violenze. Simona Lanzoni, che ha fatto parte della giuria internazionale del Festival insieme ad altre tre persone, racconta la sua esperienza.
“Spesso si tende a credere, erroneamente, che un paese povero abbia persone poco interessate all’arte e che la sua produzione cinematografica sia, di conseguenza, di bassa qualità. In realtà questo festival ha messo in luce l’alta qualità e la professionalità, l’impegno e la dedizione di donne e uomini che hanno presentato cortometraggi e documentari molto coraggiosi e ben fatti. Questi giovani registi e registe, sceneggiatori, attori e attrici, hanno saputo magistralmente raccontare la società afghana, le tradizioni che continuano a scandire il ritmo della loro esistenza, la voglia di trasformazione delle nuove e delle vecchie generazioni. Ecco perché vogliamo rendere omaggio ad alcuni dei film che hanno vinto descrivendoli brevemente”.
Lonelinesse, della regista afgana Sabela Rezal è stato premiato come miglior documentario. È un film autobiografico che narra una storia di solitudine e di disperazione legata all’impossibilità di una madre di continuare a vivere accanto al proprio figlio. Sabela, sposa bambina, all’età di 15 anni diventa madre. Appena ventenne decide di separarsi dal marito violento. Il figlio è affidato al padre anche se incapace di crescerlo. La giovane donna cerca sostegno legale dalle avvocate della sua città, ma la legge islamica vigente in Afghanistan stabilisce che è il padre ad avere il diritto a tenere i figli, non la madre. Da questo momento inizia per lei una lunga strada di sofferenza, fatta di continui tentativi per poter passare più tempo possibile con suo figlio.
Miglior Cortometraggio è stato riconosciuto In Circle, della regista Masooma Ibrahimi. È la storia di una ragazza che non si piace, è figlia unica di una coppia di genitori malati e vorrebbe diventare un’altra persona, lasciarsi tutto alle spalle. Crea quindi un espediente per reinventare se stessa rubando le borse delle donne che le sembrano vivere una condizione migliore della sua. Così facendo capisce che tutto sommato, c’è chi sta molto peggio. Decide quindi di scommettere su se stessa e….
“Questo corto è stato premiato perché va oltre la realtà afghana, parla di tutte le ragazze e le donne del mondo, della difficoltà di accettare la propria situazione e della volontà di autodeterminarsi. Ci si riesce solo scommettendo su se stesse. Si parla di stereotipi, si parla di violenza sulle donne, si parla di empowerment, veramente ottimo il messaggio che trasmette”.
La migliore regia è stata attribuita a Conflit, cortometraggio del regista Khadim Husasain Byhname. È uno squarcio di vita quotidiana in un villaggio, dove un fratello e una sorella si disputano il latte cremoso di un piatto di riso. Come la tradizione vuole, la parte migliore del cibo è destinato al fratello e la madre, consapevole di ciò, ignora le proteste della sorella. Il corto descrive una realtà in evoluzione. All’iniziale rabbia della bambina si sostituisce la capacità di trovare una soluzione all’ingiustizia subìta. Il film si conclude con il fratello che si rivolge alla sorellina dicendole: “Sei più intelligente di tua madre!”. “Ho avuto il piacere di parlare con Khadim in aereo al ritorno da Herat verso Kabul. Era molto contento di aver ricevuto il premio. È giovane e timido, nel suo breve inglese mi ha spiegato che lo ha girato in famiglia, ha mostrato dove è nato e cresciuto, in un villaggio nella provincia di Gazni, una delle più pericolose rispetto alla presenza talebana. Guardandolo e ripensando alle immagini del film, alle montagne e ai tramonti che mostra, penso sempre che la vita sia una grande opportunità. Se lui ora è all’università a studiare cinema lo deve alla madre e al padre, che è tassista a Kabul e non è d’accodo della sua scelta ma lo sostiene comunque economicamente”.
#foto5dx# A Maze, cortometraggio del regista Massod Eslmai, è andato il riconoscimento per la migliore sceneggiatura. Racconta la complessità dell’attuale società afghana rispetto alla violenza sulle donne. Il film si dipana tra storie di più famiglie, tutte collegate a loro insaputa. È molto interessante perché mostra veramente la vita di tutti i giorni. Dopo una serie di eventi drammatici, alcuni uomini prendono coscienza di quanto sia importante essere rispettosi dell’altra metà del cielo.
Il Premio speciale della giuria è andato al film Gamar, del regista iraniano Nima Latifi, sul tema dei matrimoni precoci e forzati. Un signore di oltre cinquant’anni compra la figlia di dodici anni da un uomo eroinomane e la madre fornaia, disperata, cerca di riprendersela. È la storia della complicità e del coraggio di donne che trovano una via di uscita da un sistema patriarcale imperante.
“Mi avvicino a Lina per farle i complimenti perché trovo che la sua interpretazione è qualcosa di eccezionale, che va veramente oltre lo schermo. Infatti è stato premiato il film e anche lei come miglior attrice. Lei con le lacrime agli occhi mi racconta che il film è quasi un miracolo perché è stato girato con pochissimi soldi e fino all’ultimo non sapevano se riuscivano a realizzarlo. La popolazione del villaggio che li ha ospitati per girare le scene, nella valle di Shamali fuori Kabul, quanto hanno capito quale era l’argomento del film, volevano cacciare tutta la troupe. Li hanno minacciati e hanno temuto per la loro incolumità, ma non si sono arresi perché volevano testimoniare quanto avviene ancora oggi alle bambine, volevano raccontare la disperazione delle loro madri. Poi mi guarda e mi dice che è stupita dal fatto che noi occidentali capiamo questi problemi e mi ringrazia. Le rispondo che purtroppo, nella mia esperienza di vita vissuta in Afghanistan, seguendo poi negli anni il progetto Jamila di Fondazione Pangea e le sue beneficiarie, ho incrociato molte storie come quella di Gamar e purtroppo non sono finite bene come il film. Abbasso la testa perché mi escono le lacrime agli occhi. Ci guardiamo e ci capiamo. Andiamo avanti”.
Testo di Simona Lanzoni, Vicepresidente Fondazione Pangea, e Barbara Gallo, giornalista pubblicista. Ringraziamo Simona Lanzoni per le foto.
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