Martedi, 28/02/2017 - L’ultima prova cinematografica di Ferzan Ozpetek trae origine da un intreccio letterario, che fa capo al suo debutto come scrittore: qualche anno fa Mondadori ha pubblicato il suo romanzo autobiografico “Rosso Istanbul”, ora riadattato dal regista turco-romano con qualche modifica che lo rende più universale anche se sempre ricco di quei rimandi e di quelle citazioni che caratterizzano il cinema ozeptekiano.
Il film, infatti, racconta di Orhan, un ex scrittore che ha lasciato Istanbul e vi fa ritorno dopo vent’anni, per un incarico collegato al suo nuovo mestiere di editor: un incontro di lavoro con Deniz, famoso regista, che sta mettendo a punto il suo libro.
Sin dall’inizio vi è quindi un rimescolamento di ruoli, che consente ai personaggi di riflettere sul proprio destino, e sul proprio passato. Lentamente, Orhan scivola nelle vite altrui, circondato da una tipica tribù familiare della cinematografia di Ozpetek, chiassosa e composita, che si agita attorno alla magnifica casa avita di Deniz, uno yali (antico edificio in legno posto all’altezza del livello del mare) dove regnano la saggia madre Sureyya e la burbera governante Sibel. Fino a prendere il posto – simbolicamente ma non solo – di Deniz, i cui amici accettano il fatto come se fosse ineluttabile.
Orhan rimane invischiato in una tela di ricordi e di rimorsi, stringendo relazioni con gli amici di Deniz, che sono anche i protagonisti del libro che il regista deve terminare, e finendo per ritrovare emozioni e sentimenti che credeva di non provare più.
Con un eccellente cast di attori turchi, tanto bravi quanto celebri in patria e all’estero (Halit Ergenç, Tuba Büyüküstün, Mehmet Günsür, Nejat Isler, Serra Yilmaz), il film si apre con una data, 13 maggio 2016, e su un luogo, lo stretto del Bosforo, che separa la parte occidentale e quella europea di Istanbul, città scolpita nell’immaginario collettivo ma sempre in mutamento. In conferenza stampa, Ozpetek ha dichiarato di averla voluta raccontare con tutte le sue trasformazioni, grazie ad uno straordinario lavoro sul suono che evidenzia il fragore dei cantieri edili, le voci della strada, il rumore del traffico, l’intarsio di mille generi musicali.
Rifuggendo le tentazioni della nostalgia, il cineasta ha cercato di evitare l’ovvio, cogliendo invece l’atmosfera di sospensione che caratterizza la metropoli e più in generale la Turchia: l’assenza subitanea di Deniz riflette lo stato d’animo di un intero Paese schiacciato tra una caotica modernità e pulsioni autoritarie (di segno diverso ma comunque liberticide): così questo artista, ormai trapiantato in Italia da molto tempo, ha voluto restituire – attraverso i temi dell’anima a lui sempre cari – il clima di pesante incertezza che avvolge la sua patria d’origine.
Senza rinunciare, come detto, alle sue passioni e alle sue radici: la data su cui si apre il film, infatti, è quella del suo debutto con l’acclamato “Hamam – il bagno turco”, mentre il nome del protagonista non può non rimandare al celebre scrittore Orhan Pamuk e al suo amore per Istanbul.
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