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Rossella Pompeo

Rossella Pompeo

Poesia - Scalfire il tempo delle cose

Benassi Luca Martedi, 28/04/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2009

Rossella Pompeo nasce ad Anagni nel 1974. Vive e lavora a Roma. Ha pubblicato la raccolta di racconti: “Roma è come Asmara”, (Editrice Zona), le sillogi poetiche “Oltre il muro le cose” (Manni Editori) e “Mite frastuono” (Prospettiva Editrice). Suoi componimenti poetici sono apparsi inoltre nel: “Lunario di poesia”, Ed. del Giano, curato da Antonio Veneziani; sulla rivista “L’immaginazione” e sull’antologia “Poetica”, Ed. Aletti. Collabora con “Philosophema”, bimestrale di filosofia. Ha sceneggiato e curato la regia del cortometraggio “Le mani antiche”, tratto dal suo omonimo racconto. Ha curato l’adattamento della sceneggiatura cinematografica dell’ultimo film, di prossima uscita, del regista Bogdan Dumistrescu-Dreyer, con Gérard Depardieu. Il suo racconto “Our Garden Seat” che apre la raccolta “Roma è come Asmara” vince il terzo posto del 29° Concorso Internazionale Città di Moncalieri 2008.

Rossella Pompeo esordisce nel 2007 con la raccolta “Oltre il muro le cose” dalla quale sono tratti i testi qui pubblicati. Si tratta di una poesia dal sapore antico, nelle elisioni, nei troncamenti, nelle volute del verso, in quell’aura vagamente madrigalesca e barocca: un “vago sentire”, “incerti incanti” che si fanno sospiri, aneliti, battiti, un ritmo cardiaco e vitale che si imposta in una versificazione franta e verticale, a volte sgretolata in una sintassi dall’andamento ondivago, ma mai aspra e rocciosa. Scrive Marcello Carlino nella prefazione al volume: “Ed ecco un tratto della poetica di Rossella Pompeo in chiaro: ha infatti un “non so che” di sensuale e risale all’imprescindibile movente di una necessaria esperienza dei sensi, la lingua di ‘Oltre i muro le cose’: e così passa e ripassa, ondivaga e sgretolata, seguendo sentieri tortuosi e meno battuti, deviando dalle rotte segnate, spostando di continuo l’asse degli enunciati, sovvertendo la logica del discorso.

È per effetto di un tale procedere che è in vetrina nel libro un regesto di immagini che diremmo in libertà. Paesaggi naturali coabitano con fotogrammi dell’io, panorami fantastici con tracce di riporto al vissuto, proiezioni metafisiche con esplorazioni dell’universo fitto di incognite, e come costituito di materia refrattaria e irriducibile, che ci circonda.” Rossella Pompeo lavora per immagini, spirali, viluppi, fili rossi che si tendono da un testo all’altro fino a costruire una tessitura compatta che fa leggere l’intera raccolta come un piccolo canzoniere. L’amore, tuttavia, lavora sottotraccia all’esperienza dei sensi, all’impatto del corpo con una realtà del vivere, magmatica e vorace, che conferisce a questa poesia movenze di una sensualità fisica e a volte civettuola. Il vissuto si disintegra in un pulviscolo di emozioni, in paesaggi d’anima, fasci luminosi che fanno risplendere questi versi di un luccichio metafisico e surreale. La poetessa entra ed esce dai soggetti, si insegue, modifica il tempo, adottando di volta in volta il presente o il passato, cerca l’amato e se stessa in un luogo senza luogo e senza tempo. Il pavimento solido del vivere deraglia, smotta di fronte all’incertezza dello spirito. Forse in questo risiede la modernità della Pompeo, in quella sua capacità “di sperimentare l’incertezza che ci pressa e di riconoscere, per converso, l’ineluttabilità di una ricerca che non ha mappe o coordinate precise, né mete sicure” come nota Marcello Carlino. È una poesia che non sfugge alla dimensione del gioco, al funambolismo linguistico al limite del virtuosismo, ma che è sempre presente alla tensione del senso, inchiodata al significato profondo, al coraggio del dire per rivelare un cuore gonfio, a volte ferito. E non è poco.





TESTI





Riconoscersi

Nell’inconsueto spazio

D’altri riempito

Noi rintracciati dal filo

Che ci lega infinito

Ci s’insegue al buio

Inconsapevoli ci ritroviamo accanto

Negli sguardi tesi nell’altro

Non restano muti i pensieri

S’allacciano solidali

Alcuno li ode

Solo nostri









Falsi incerti incanti

Resero muti i sospiri

Trattennero il gaudio

Non dissetando più una voglia

Foglia morta cadde al vento

Marrone il sapore accartocciato

Si frantumò in disinganno







L’indistinto anelare

Non s’acquieta giammai

Il dolore non partorisce

Tregua perpetuo batte

Dove s’attorciglia l’animo









C’era quel vago sentire

Mai onestamente avvincente

Ad avvinghiare le sane voglie

Rendendole sporche

Fattesi d’ombra contagiavano il bello

L’adorante tensione al gioioso vivere

Sviscerata, svuotata dell’intima

Purezza sentiva l’abisso freddo

Avvolgerla fino a morirla









Respira quieto

Il latteo muro

Non osa

Lui vorrebbe

Ma sempre si posa

Ovunque è ammirato

Appare muto

Non mai sproloquia

Non mai tenta

L’impensato

Impeto lo tace

Nel suo bianco implora

Almeno il gesto

Dell’audace osservatore

Che non tema il

Freddo accarezzare

 





(28 aprile 2009)

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