Lunedi, 21/09/2020 - Sapevo che sarebbe successo. Da anni avevo via via chiesto agli amici i suoi numeri di telefono per raggiungerla e parlarle come ogni tanto facevo quando stavo a Roma. Ho sempre ricevuto gli indirizzi, ma non ho mai chiamato. Non so perché. Forse perché era inutile. Una qualche ragione ci doveva essere se Marina mi diceva - ancora la sento - "ma come somigli a mia sorella!": non mi era mai capitato di discutere da non comunista - che aveva affiancato il Pci negli anni Settanta/Ottanta sperando che la sinistra avrebbe rotto l'incantesimo che impediva all'italia di avere, come tutti i paesi democratici, l'alternanza del governo - con una "compagna" come se non ci fossero differenze su nessun argomento.
Eppure ero molto diversa, indipendente di sinistra, sempre critica delle politiche di compromessi poco storici e molto di potere, con Rossana parlavo senza nemmeno sentire dialettica, in totale condivisione.
Era, per me (e come lei voleva), "la comunista", che viveva il comunismo più teorico e astratto di questo mondo, come se fosse una certezza che, prima o poi, l'umanità sarebbe riuscita a realizzare quel progetto, a prescindere da errori e sconfitte: unica, razionale senza cedimenti emotivi eppure piena di passione, irriducibilmente indipendente su tutto lo spettro della politica.
Le mie critiche - so che è presuntuoso - erano le sue.
L'ultima volta che ci siamo incontrate e mi disse: "ma lo sai che non capisco più i miei?", erano i giorni in cui avevo deciso di non comperare più "il manifesto".
Eravamo state insieme a ricordare Adriana Zarri, un'altra della categoria delle donne "strane". Per questo, dopo l'ictus, volevo ancora sentirmi dire che anche lei si ribellava a questa inesorabile discesa, gradino dopo gradino, della sinistra verso un basso non solo metaforico, una decadenza irritante e avvilente perché ormai si affonda nel deserto delle idee: il massimo della mortificazione se nemmeno Rossana riusciva più a fare echeggiare la sua indignazione.
Per questo non era il caso di condividere (in)sofferenze.
Dispiace rendersi conto che parliamo di noi quando chiamiamo scompare: vorrei che i giovani (non solo quelli che leggono "lotta comunista") potessero sapere chi è Rossana Rossanda.
Un nome da conoscere e conservare a prescindere dalle ideologie e dalla contingenza delle scelte politiche: una donna, prima di tutto, una donna che era stata molto bella, ma anche così autorevole per intelligenza da intimidire i molti maschi della politica che, avendone paura, la giudicavano troppo libera.
Libera era davvero, nel senso che un uomo, nemmeno Karol (al cui bene Rossana è stata pronta ai sacrifici), è in grado di capire: l'hanno rispettata come se fosse un uomo, mentre affermava l'autonomia della donna. Si era definita "non femminista", per la priorità dei diritti che sono dell'umanità intera, ma ha scritto e rappresentato i diritti delle donne come poche della sua generazione.
Anche le ragazze che non l'hanno mai sentita nominare, se affrontano i problemi della responsabilità sociale, della fiducia testarda in ciò in cui si deve credere come donne, in qualche modo si mettono sulla strada che ha percorso lei: dovranno davvero riappropriarsi della sua parola.
Non so in questi ultimissimi mesi, ma spero che continuasse a sentirsi quella che, a 96 anni, si occupava del futuro, arrabbiata per il presente, carico dei disastri di trent'anni perduti per le incapacità di quelli che dovevano essere la sinistra irrimediabilmente privi della voglia di rinnovarsi ogni giorno come richiede la normale igiene politica.
Fino a pochi anni fa la preoccupavano le nuove generazioni.
Non credo che ci siamo mai abbracciate, nemmeno ora mi viene di pensare un abbraccio di congedo: ti abbiamo sempre tenuta a distanza e adesso mi domando se davvero ti piaceva questa sobrietà affettiva.
Nel tuo partito una volta si mandavano gelidi "saluti fraterni".
E' come se non volessi lasciarti andare, e continuerò a scambiare ragionamenti come prima. Anche se so che non è vero che sarà la stessa cosa; quello che ti è successo oggi cambia tutto.
Sappiamo che non ne avevi paura, una ribelle senza resa; per noi destinata a restare, se saremo capaci di rilanciare nella storia del futuro e soprattutto nella politica di oggi la tua lezione.
Un abbraccio, Rossana.
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