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Rosaria Cascio

Rosaria Cascio

Dalla VIVA VOCE di - Il dire e il fare delle donne nella lotta alle mafie

Rosa Frammartino Lunedi, 19/04/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2010

Conosco Rosaria Cascio ormai da anni, ma ogni volta che mi capita di incontrarla, in una delle tante occasioni di testimonianza e di impegno educativo nella lotta alle mafie, mi sorprende la coerenza e la forza della sua fede. Lei mi risponde che ha avuto un ottimo maestro: Padre Pino Puglisi! Inevitabilmente, ancora una volta, da qui parte la nostra conversazione.



Rosaria, oggi sei presidente dell’Associazione”Padre Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove?”. Da dove nasce questo impegno?

L'Associazione riunisce persone che sono cresciute e si sono formate con Padre Giuseppe Puglisi. Molti di noi facevamo parte dei "suoi" giovani del Centro Diocesano Vocazioni, tra gli anni 80 e 90 e, oggi, siamo diretti testimoni dell'opera di Padre Puglisi. Ognuno di noi porta con sé un suo ricordo, una sua emozione.



Vi eravate resi conto del pericolo che minacciava la vita di Don Pino?

Vivere in una terra di mafia significa conoscere ogni segnale che essa dà: una ruota della macchina tagliata, un portone di casa bruciato o un furgone che lavora per la Chiesa a Brancaccio dato a fuoco, ferite al volto di P. Puglisi, botte a giovani volontari al Centro Padre Nostro… Come non capire? Eppure Padre Puglisi ebbe la capacità di sdrammatizzare rendendo leggera l’aria pesante che gravava su Brancaccio. La sera in cui arrivò la telefonata che informava della sua morte, sono corsa in ospedale ed ho urlato che era stata la mafia. Improvvisamente la realtà aveva confermato ciò che nessuno aveva creduto potesse accadere. Non a lui. Col senno di poi, ci siamo trovati a pensare che, dentro di noi, forse sapevamo già tutto.



Ha strappato il futuro di tanti giovani alla mafia. Una missione così efficace da causare la sua condanna a morte.

Molti, sbagliando, considerano l’azione pastorale e ministeriale di P.

adre Puglisi come un’attività di “antimafia”. Una definizione che lui non accettò mai. Per capire il senso del suo martirio occorre ricordare che P. Puglisi fu un sacerdote fedele al Vangelo, sino in fondo. Concretizzare il Vangelo nella storia significava stare al fianco degli ultimi nel territorio, nella loro vita, con i bambini senza il padre che era in galera. Negli uomini e nelle donne senza speranza.

Padre Puglisi visse in modo esemplare la logica del chicco di frumento che produce frutto soltanto morendo a sé stesso. Chi vive secondo questi valori diventa un ostacolo enorme per chi semina morte e vive di soprusi. La mafia, quella sì che fu ed è contro il Vangelo e contro ogni forma di vita e di amore umano.



È ancora efficace la testimonianza di fede per strappare i giovani alla cultura della “potenza mafiosa”?

E’ l’unica strada percorribile in termini cristiani. Il Vangelo del Cristo che muore in croce offrendo la sua vita per dare speranza agli uomini è l’unica, semplice e possibile strada per ridare senso all’uomo smarrito. Parlo del Vangelo di Cristo, ma credo che qualsiasi fede che si basi su una dottrina di amore e carità verso il prossimo, possa essere efficace. Credo, e lo credeva anche P. Puglisi, che chiunque, anche i non credenti, possano essere costruttori di un mondo nuovo purché le proprie azioni siano rivolte alla promozione di una convivenza civile e sociale equa e non violenta. “Ma stiamo attenti. Le parole devono essere confermate dai fatti” diceva Padre Puglisi. Testimoniare significa praticare la coerenza dando l’esempio con la propria vita. Di questa autenticità i giovani sanno riconoscere il profumo.

 

“Padre Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove?”

Associazione di volontariato

Via Matteo Bonello n. 6/PALERMO

www.simaversodove.org

simaversodove@libero.it



(19 aprile 2010)

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