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Roma / Presentazione del cortometraggio ‘Essere donna e caregiver’

Roma / Presentazione del cortometraggio ‘Essere donna e caregiver’

Le testimonianze e il dibattito alla presenza di rappresentanti del mondo della cooperazione, della politica e delle istituzioni

Giovedi, 20/06/2024 -

Si è tenuta a Roma (Spazio Europa) la presentazione del cortometraggio ‘Essere donna e caregiver’ realizzato da Tiziana Bartolini nell’ambito del progetto ‘Fattore H. Donne e madri tra responsabilità e autodeterminazione” sostenuto dalla Regione Lazio. Il corto ha raccolto una sintesi delle singole interviste realizzate a tre madri e caregiver familiari che hanno accettato di raccontare complesse esperienze di vita contrassegnate fin dall’inizio da quotidiane difficoltà e ostacoli.

L’impatto delle testimonianze di Carla Cantatore, Marina Morelli e Barbara Tamanti è forte, certo, per le situazioni difficilissime che descrivono, ma anche per la dignità che le accomuna. Il tema al centro della scena, infatti, è quello dell’organizzazione dei servizi sociali e dell’applicazione efficace di leggi che enunciano diritti mai pienamente assicurati alle persone con disabilità.

Il risultato dell’inadeguatezza di fondi stanziati, della burocratizzazione eccessiva delle relazioni accanto, spesso, alla disorganizzazione strutturale si traduce in carenze dei servizi che queste madri sono obbligate a colmare. Avere un figlio o una figlia con disabilità è, ancora oggi, una realtà che relega milioni di donne in un cono d’ombra in cui sono loro negati i minimi diritti garantiti alle altre, quale quello della salute o la possibilità di scegliere se lavorare. Si tratta di una condizione di disparità ormai inaccettabile.

Il senso del progetto, e dell’incontro per la presentazione del cortometraggio, è stato far emergere questo tema in tutta la sua potenza e urgenza, ponendolo all’attenzione dei decisori istituzionali e politici, oltre che ai movimenti delle donne.

Di seguito si riporta integralmente l’intervento di Marina Morelli - che ha, tra l’altro, richiamato l’attenzione su una grave situazione nel Lazio che riguarda 89 famiglie di persone con disabilità – e una sintesi dell’intervento di Costanza Fanelli, che ha moderato la tavola rotonda cui hanno partecipato: Eleonora Vanni (presidente nazionale Legacoopsociale), Marta Bonafoni (consigliera regionale Lazio e responsabile nazionale politiche del Terzo Settore del Pd) e Elisa Paris (presidente di Nuove Risposte e referente di Innovainrete).

Costanza Fanelli. “Accostare la parola neutra di careviger alla parola donna è per certi versi scontato, perché fa riferimento al ruolo storico delle donne quali responsabili della cura dei familiari. Ma con la scelta di mettere in relazione tre parole donna, madre e caregiver si è voluto andare oltre questa lettura che finisce spesso con il tradursi, malgrado le lotte delle donne, contro le disparità di genere anche nel peso delle responsabilità familiari, in una accettazione sociale e culturale di fatto di questa realtà. Queste testimonianze parlano e devono parlare a tante e tanti: prima di tutto alle donne stesse, sia quelle che vivono condizioni simili sia quelle che vivono altri tipi di problemi ma non così duri: devono parlare a donne impegnate nei movimenti femminili e femministi a cui spesso sfugge la realtà di mondi femminili perché apparentemente confinati nella dimensione privata e familiare; Ma abbiamo voluto anche che fosse occasione di un confronto in diretta con mondo degli operatori e operatrici dei servizi che si rapportano o dovrebbero rapportare con questa realtà di bisogni e soggetti, coinvolgendo in particolare la realtà della cooperazione sociale che offre diversi tipi di risposte e servizi, di cui spesso non è sufficientemente conosciuto l’impatto reale sulla vita delle persone in carne e ossa. Un settore oltretutto composto in prevalenza di donne e pieno anche di protagonismi femminili sul territorio e nel welfare. E infine riteniamo essenziale l’ascolto di queste voci da parte dei e delle rappresentanti del mondo istituzionale e politico che hanno diretta responsabilità su scelte, leggi chiamate ad affrontare questi problemi delle cittadine e dei cittadini.
Il termine caregiver è entrato a livello europeo nel 2006 grazie all’azione di reti europee di careviger e tale figura si lega ben presto al concetto di ‘Cura di lungo termine’ cioè di un bisogno di cura e di accompagnamento e sostegno che riguarda in modo stabile tanti aspetti della vita quotidiana. In Italia la figura entra formalmente nel sistema del welfare a livello statale solo nel 2018, in modo generico e insufficiente, preceduto però da riconoscimenti di numerose leggi regionali, la prima è stata quella dell’Emilia Romagna che ha fatto da apripista e l’ultima quella del Lazio, che contiene anche elementi interessanti che riguardano sostegni specifici rivolti ai caregiver distinti da quelli per le persone con disabilità. Ma il tema di una legislazione nazionale che dia un quadro chiaro e adeguato è oggi essenziale. Su questo le testimonianze del corto nella loro diversità ci dicono molte cose da tradurre in risposte perché parlano non solo delle difficoltà quotidiane incontrate, ma fanno emergere vere strategie di queste donne e indicazioni concrete nei confronti del sistema dei servizi concepito come un insieme integrato di presa in carico ma anche di costruzione di percorsi di autonomia delle persone fragili , come parte dei loro diritti di persone, ma condizione questa anche per liberare le donne da pesi insopportabili

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Mi chiamo Marina Morelli, sono mamma e caregiver di due donne autistiche complesse ad alto bisogno di supporto.

In Italia si stima che i caregiver siano oltre10 milioni, di cui il 75% sono donne comprese tra i 45 e i 64 anni. Ancora, nel 2024, in caso di bisogno familiare, è la DONNA a doversi sacrificare, è una legge non scritta ma una dura legge sociale, che ostacola la nostra emancipazione e autonomia. Infatti, noi Caregiver siamo in un rapporto di dipendenza con la persona della quale ci prendiamo cura, una dipendenza che, oltre a falsare le nostre scelte, finisce per rendere gravoso e insostenibile quello che invece è un rapporto affettivo importante, nel caso di un figlio, il più importante. 

Noidonne caregiver siamo “a disposizione” della persona non autosufficiente della quale ci prendiamo curae, in assenza di servizi, VIVIAMO: Come recluse. Senza diritti costituzionali, quali il diritto al lavoro e alla salute.

E in assenza di una legge sul Caregiver familiare nazionale - che riconosca direttamente al caregiver, in qualità di beneficiario, un compenso e i versamenti Inps per maturare una eventuale pensione -. 

Ci sono altri due aspetti delle nostre vite che vado a enunciare, per i quali sarà poi necessario esporre due FATTI. Aggiungo dunque che VIVIAMO

Senza la possibilità di essere sostenute dai servizi in caso di emergenza dovuta a una crisidi nervi della persona disabile complessa della quale siamo caregiver.

E con la preoccupazione costante per il Dopo di Noi. 

Cosa succede in caso di crisi di nervi incontenibile? Succede che non esiste un servizio sociale per le emergenze e le chiamate al NUE 112 sono in questo senso mal gestite dai pronto soccorso, che di solito rimandano ai servizi con un appuntamento al curante della ASL, il quale è lo stesso medico ad avere detto noi di chiamare il NUE 112 non essendoci il servizio che medi il rapporto con gli ospedali.

Su questa questione, che spesso riguarda personalmente me come caregiver e le mie due figlie autistiche complesse, mi sono confrontata con Cristiana Mazzoni, anche lei madre caregiver e presidente di FIDA Forum Diritti Autismo, la quale parteciperà a una Cabina di Regia della Regione Lazio che partirà tra poco, al cui tavolo siedono anche le parti sociali, che si stanno impegnando con tutte le loro forze per ottenere di colmare questo vuoto. Come dice Cristiana “Il problema delle emergenze non è serio ma serissimo, e si lavorerà affinché i servizi Tobia-Dama nel Lazio, già presenti in alcuni ospedali per offrire in questo senso percorsi intraospedalieri programmabili, possano essere ampliati e coinvolti in un progetto che permetta agli ospedali di accogliere in emergenza le persone con disabilità complesse e disturbi del neurosviluppo dovuti anche a malattie genetiche, per giungere alla diagnosi, alla giusta cura e gestire i casi di acuzie e post acuzie”…
… che, intanto, gestiamo noi caregiver, perché questo servizio di transizione sanitario e qualificato non c’è, e noidonne che curiamo, in molte in situazione monoparentale, spesso, prendiamo le botte dai nostri figli autistici complessi in crisi, i quali, non potendosi spiegare, forse, non hanno sempre una crisi di nervi ma una crisi di disperazione dovuta al fatto che stanno male fisicamente. Ne deriva che le crisi incontenibili, di nervi e non, quelle crisi che gli ospedali lamentano di non potere gestire per mancanza di personale qualificato, dobbiamo gestirle caregiver, senza che il nostro sforzo disumano sia efficace a sollevare i nostri figli da quella sofferenza.

Quindi, niente certezza di diagnosi e cura nei pronto soccorso, dove in caso di crisi si tende a sedare e non a escludere l’insorgere di un problema di tipo organico causa della maggioranza della crisi, quindi, si viene rispediti al mittente con un appuntamento con i servizi territoriali in base alla prima disponibilità del curante della ASL, che di norma ha 500 pazienti. 

L’isolamento a noi imposto dal punto di vista sociale e umano, tutto ciò che ci viene chiesto di impossibile, è una crudeltà, ma la nostra condizione viene fatta passare come una scelta eroica personale. E anche certe frasi da parte dei servizi oramai, c’è da dire, ridotti all’osso, tipo: “O se ne occupa lei o ce ne occupiamo noi”, che molti chiedendo un maggiore sostegno si sono sentiti rispondere, denotano, in realtà, l’impotenza dei servizi stessi, che non hanno gli strumenti e le risorse sufficienti per aiutarci civilmente. Eppure, si insinua in noi il dubbio che saremmo noi a non volere “mollare”, come se là fuori ci fosse un mondo dei servizi perfetto del quale potersi fidare ciecamente, al quale affidare i nostri cari a carta bianca, mentre le cose non stanno così. 

Il sistema si basa per andare avanti sulla forza lavoro nero dell’esercito invisibile dei caregiver.

Le mie figlie e io veniamo da lontano, avevo 22 anni quando è iniziata questa avventura e, nonostante non mi sia tirata indietro, non credo che sia compito di una sola persona fare un lavoro così complesso di supporto a una persona non autosufficiente, così ignorando totalmente i propri bisogni e diritti, e non credo che ciò sia compito di una madre, a prescindere dai miei sentimenti sui quali il sistema, ne sono consapevole, fa leva, anche attraverso leggi sociali non scritte. Sentimenti che mi inchiodano a responsabilità affettive alle quali non posso sottrarmi.

Mi chiedo se la politica avrà mai la volontà di affrontare seriamente il dramma delle donne caregiver, costrette per amore a occuparsi dei loro cari in condizione di sfinimento psicofisico, in quanto, troppo spesso, lasciate sole; si pensi che vi sono territori dove l’assistenza domiciliare e i servizi trasporto non ci sono, o languono, mentre i centri diurni sono una chimera.

Spiace dirlo, ma il nostro paese, che non è fanalino di coda in Europa e nel mondo in fatto di leggi di civiltà, che indicano noi un percorso, non riesce poi a fare attecchire tale civiltà sui territori diffondendo, anche potenziando i servizi e così la loro presenza e “offerta”, una cultura del sociale, che sradichi progressivamente la mentalità per la quale la persona con una disabilità, congenita o sopraggiunta, viene considerata essenzialmente una questione di famiglia e soprattutto della donna. 

E poi c’è la nota dolente: l’ultimo punto che riguarda la preoccupazione avvilente per il cosiddetto dopo di noi.

Sappiamo che i progetti di vita che veramente rispettino la persona sono rari. Sarà avviata in questo senso una sperimentazione in 9 province italiane da gennaio 2025, ma i fondi restano pochi.

A tal riguardo, in Regione Lazio sta accadendo qualcosa che ha messo in agitazione noi caregiver. Ci sono 89 persone autistiche complesseinserite, per il loro bene e per il loro benessere, in case famiglia, le quali, a causa di una disputa per il pagamento della loro retta in atto tra Comune di Roma e Regione Lazio, si sono vista messa in discussione la loro permanenza nelle case dove attualmente vivono e hanno trovato un po’ di serenità, e così i loro familiari ex caregiver: la deliberazione regionale in questione è la 983 di dicembre 2023.

Il Coordinamento Famiglie delle Persone Autistiche, con una serie di iniziative e una lettera aperta al Sindaco di Roma, al Presidente della Regione Lazio e agli Assessori, ha espresso esattamente il sentimento di preoccupazione di noi genitori e caregiver interpretandolo in maniera corretta, ovvero che la centralità della persona nella stesura e realizzazione dei progetti individuali non può essere solo uno slogan ma dovrebbe essere una consapevolezza anche delle amministrazioni.

La notizia di questa disputa tra amministrazioni ha lasciato noi caregiver basiti per la indifferenza dimostrata innanzitutto nei riguardi delle 89 persone autistiche ignare ma anche dei loro familiari, i quali credevano (nell’avere fatto quel passaggio importante e difficilissimo, da tutte noi donne madri caregiver paventato poiché micidiale, quale è l’avere avuto la forza di affidare i propri cari al sistema) di essere riusciti a trovare loro una buona sistemazione e, invece, si sono ritrovati in balia di questo genere di miserie amministrative che, mettendo tutto in discussione, mettono a repentaglio la serenità dei loro cari e il loro benessere.

Quella dei conti della serva, invece di risolversela tra uffici (anche analizzando lo storico, ovvero i motivi per i quali queste persone sono state a suo tempo inserite d’urgenza in luoghi residenziali più adatti al loro benessere di quanto lo fossero situazioni riabilitative), viene affrontata deliberando e diramando comunicati, dovendo queste amministrazioni, giocoforza, ritornare sui propri passi, perché non credo che un medico dirigente dei servizi sociali territoriali di competenza, si sintonizzerà alle ragioni di queste amministrazioni in modalità clinica regressiva (in altre parole invece di andare avanti andiamo indietro) firmando l’entrata di queste persone in luoghi tipo RSA o RSD.

Il problema sono sempre i soldi, i soldi che risolvono tutto, che scombinano tutto e, in casi come questi, la mancanza nella nostra Regione del passaggio dei servizi sociali e sanitari al sistema integrato dei servizi territoriali, detto sociosanitario, esalta il problema del “chideve pagare e quanto”, che si amplifica e diventa una disputa quando le amministrazioni sono di colore politico diverso.

A tal riguardo, mi chiedo se in questi assessorati, evidentemente indifferenti alle nostre persone (caregiver e autistici complessi), abbiano mai sentito parlare di presa in cura e, quindi in carico, della persona ad approccio olistico, che ispira il sistema unificato dei servizi sociosanitari, divenuto nella nostra regione una chimera; approccio che per perseguire la SALUTE della persona la considera nella sua interezza, perché la salute è psicofisica e non può prescindere dalla qualità di vita e dal benessere percepito, quest’ultimo rilevabile anche nelle persone con disabilità gravissima grazie a sistemi valutativi per l'appunto ad approccio olistico.

Invece, queste persone autistiche complesse di livello 3 (che evidentemente queste amministrazioni comunali e regionali considerano per loro propria formazione e mentalità malate e bisognose di cure mediche di tipo contenitivo, vengono valutate in modo meramente funzionale, al solo fine di renderle “gestibili”, ossia adatte al sistema e non viceversa) le vorrebbero ricoverare - mi viene da dire - così costano meno.

E le leggi che parlano di progetti di vita e di diritto all’abitare? Che fine fanno questi diritti???, che si dovrebbero attuare sui territori attraverso una capacità progettuale da parte degli enti locali, che metta insieme tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti, al fine di riconoscere alle persone con disturbo mentale il diritto a una vita autonoma adulta con il supporto discreto di operatori con una formazione valida e un supporto continuativo…

A giudicare da come vanno le cose e dai pochi soldi che vengono destinati, sembrerebbero Leggi di civiltà che, scombinando le carte, sono da combattere per le vie burocratiche. La civiltà costa troppo, è brutto da dirsi, ma le cose stanno così e la preoccupazione per i nostri figli resta…

In una realtà come questa, per noidonne caregiver, la SALUTE dei nostri figli, il loro benessere, è più importante della nostra vita personale, almeno fino a che ce la facciamo, mentre la nostra SALUTE e la nostra vita (che non inizia mai) passano in secondo piano, almeno così è per me: perché alla fine della fiera ciò a cui rinuncio io è sempre inferiore a quello a cui dovrebbero rinunciare le mie figlie se io decidessi di tirarmi indietro, ma in questa situazione, finché ce la faccio, io non decido proprio niente.


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