Una petizione per far riaprire il Centro antiviolenza di Tor Bella Monaca. Intervista a Stefania Catallo, fondatrice del CESPP
Venerdi, 20/06/2014 - Sono le nuove resistenti. Combattono in maniera trasversale. Psicologhe e operatrici sociali. Avvocate e antropologhe. Sociologhe e drammaturghe. Tutte volontarie al CESPP, Centro di Supporto Psicologico Popolare di Tor Bella Monaca. Un quartiere fuori Raccordo, a sud est della Capitale. Fanno politica con le armi della cultura e cercano solidarietà tra donne di sinistra. Lontane dalle tribù di salotti che orientano campagne elettorali, si ritrovano sole. Periferiche. E dal mese di gennaio anche sfrattate. Conseguenza di una gerarchia sociale che aumenta il divario proprio quando il dolore attraversa corpo e mente delle donne. Quando il malessere somatizza e diventa malattia ci vogliono soldi. A Tor Bella Monaca chi ha problemi non può contare su una rete familiare forte, capace di pagare psichiatra, psicologo o coach-life. E rivolgersi al servizio pubblico significa appuntamenti diluiti nel tempo, mancanza di riservatezza e setting non strutturato. Stefania Catallo non abbassa la guardia e continua a lottare. Il Centro va riaperto. Intanto ha scritto un libro e messo in scena l’esperienza di tre anni. Un successo teatrale condiviso con gli amici di sempre e con i nuovi 51mila firmatari della petizione a Ignazio Marino. Obiettivo salvare il centro anti violenza di Tor Bella Monaca. Una speranza incastonata nel degrado. Stefania Catallo ha i capelli biondi raccolti a crocchia. Sorriso aperto e occhi di ragazza. La incontro di fronte al palazzo della Fao. Ci sediamo a terra, sui gradini terrazzati dell’antica Roma, quella del mitico Ratto delle Sabine, poi diventato stadio, famoso per le corse delle bighe: “Tempio e casa”, scriveva Cicerone, “luogo di riunione e realizzazione dei desideri”. Speriamo porti fortuna. Siamo al Circo Massimo. Ciuffi d’erba e cartacce dappertutto.
Lascia un Commento