Giovedi, 24/01/2013 - Riconoscere la propria inquietudine nelle battute recitate durante una piece teatrale, è un segnale inequivocabile della riuscita della “messa in scena”. Lo spettacolo “Il tempo e la stanza”, del drammaturgo contemporaneo tedesco Botho Strauss, interpretato dalla Compagnia Arcadia delle 18 Lune, andato in scena al Teatro Studio Uno a Roma, è riuscito nell’intento di coinvolgere il pubblico in un turbine di interrogativi senza risposta, di flashback e digressioni temporali anomale, di stati d’animo corrosivi che “divorano” personaggi e pubblico senza tregua, nella vana (?) speranza di comprendere l’ineffabile. Sul palco si alternavano figure strane, irrequiete e sole, che si muovevano dentro la pancia di Marie Stauber, protagonista e filo conduttore nei rapporti tra i vari personaggi. Marie parte e arriva in un luogo non configurato, incontrando sempre uomini che cercano il suo corpo ma che non riescono a placare la sua solitudine, quella che la separa dal “cuore delle cose”. Tutti i personaggi la spiano, la seguono, guardandola da un cannocchiale che sulla scena è la finestra da cui si vede il mondo. Un ulteriore elemento di confusione è l’ambientazione dello spettacolo: tutto si svolge dentro la pancia di Marie, dove i personaggi entrano invece di uscire, come creati dal suo stesso corpo. Lei nel primo atto barcolla sulla scena, senza stabilità nè punti fermi; nel secondo atto è invece lucida e disillusa. Le strane figure la giudicano, la usano, trasmettendole germi di follia e di malessere. Eppure, in questo spettacolo, dove ogni cosa sembra slegata e “assurda”, il filo conduttore è proprio questa ricerca di equilibrio, minata e mutilata dalla distanza che si crea tra gli esseri umani, e tra esseri umani e l’ambiente che li circonda. Botho Stauss, autore vivente e ancora attivo, è solito affrontare nelle sue opere i temi dello straniamento, della solitudine, del caos e dell’incomunicabilità. “Il tempo e la stanza” è considerato uno dei lavori che raccoglie maggiormente la sua visione teatrale, in cui il teatro diventa luogo della sospensione temporale, del caos delle pulsioni umane, nonché tentativo di cogliere il senso e comprendere il mondo. La Compagnia Arcadia delle 18 Lune ha lavorato dunque su un testo complesso e sperimentale, messo in scena in Italia solo una volta nel 2003. La compagnia, animata da Silvia Manciati e Alessia Barbieri Pomposelli, rispettivamente la protagonista e la regista dello spettacolo, è il frutto di oltre sei anni di lavoro nel teatro. Le due giovani artiste hanno puntato da sempre sul teatro-danza e sul movimento, organizzando laboratori e corsi di teatro per grandi e piccoli, a Roma, e più in generale nelle regioni del centro Italia. Lo spettacolo è andato in scena accompagnato dall’esposizione di foto, illustrazioni e istallazioni di altri artisti, per volontà delle ragazze che credono fortemente nella possibilità di creare un network di artisti che promuova il lavoro di tutti e la contaminazione tra generi. Un “esperimento” riuscito ed emozionante, frutto di un lavoro instancabile e della grande professionalità di tutti gli attori in scena e, ovviamente, delle due giovani anime di questa compagnia che ha all’attivo numerosi e complessi spettacoli dalla Divina Commedia a Romeo e Giulietta.
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