Polemiche e disappunto per alcune delle opere premiate: Marc’Aurelio d'Oro per il miglior film a ‘Marfa Girl’, di Larry Clark, duro spaccato dell’America di confine. Fischiatissima dalla critica l’attrice Isabella Ferrari
Mercoledi, 21/11/2012 - La conclusione della kermesse cinematografica del Festival Internazionale del Film di Roma, con l’assegnazione dei relativi premi, non ha fatto che acuire lo scontento di quanti, fra critica e pubblico, avevano già espresso numerose riserve sulla selezione e sulla gestione di questa VII edizione, la prima affidata alla direzione di Marco Müller. In particolare è parsa inattesa ed eccessiva l’assegnazione di ben due premi - che già uno pareva troppo - alla regia ed interpretazione femminile ad uno dei film italiani più criticati del Festival,‘E la chiamano estate’ (classica pellicola di cui non si sentiva l’esigenza, noioso mix di sesso e presunta sperimentazione) del regista Paolo Franchi, con Isabella Ferrari. A chi dalla platea, nel corso della premiazione, le gridava ‘vergogna’, la Ferrari, un po’ scossa, rispondeva ‘bisogna saper osare, l’arte deve fare male’. Sembra che la giuria fosse divisa nettamente sul film ma poi, a quanto pare, il ‘dolore’ ha avuto la meglio. Altra sorpresa l’assegnazione del Marc’Aurelio d'Oro a ‘Marfa Girl’, del regista statunitense Larry Clark, un film non considerato tra i migliori del concorso, pur se dotato di una certa originalità, e di tanto sesso e violenza, quasi documentaristica, sulla vita di un paesino al confine col Messico, sorta di terra di nessuno, dove i giovani sembrano non avere speranze, gli ispanici vengono tartassati ancora oggi da razzismo e coprifuoco e dove la polizia spadroneggia nell’illegalità. Il Premio Speciale della Giuria è andato all’opera prima italiana ‘Alì ha gli occhi azzurri’ di Claudio Giovannesi, storia di un ragazzo egiziano nato in Italia, in bilico fra due mondi, forse non un’opera originalissima ma certamente dai contenuti attuali ed interessanti. Altro premio meritato quello al miglior attore, vinto dal simpatico francese Jérémie Elkaïm (un po’ Belmondo un po’ Scamarcio) per ‘Main dans la main’, commedia musicale diretta dalla regista ed ex-moglie Valérie Donzelli, con cui aveva già lavorato nel bel film autobiografico ‘La guerra è dichiarata’. Anche il premio per la fotografia, attribuito ad Arnau Valls Colomer per il film messicano Mai morire, girato da Enrique Rivero, non poteva che trovare unanime consenso, data la suggestione delle immagini evocate e sospese, tra rituali antichissimi e culto dei morti nei villaggi messicani, tra mondo reale e aldilà, tra modernità e tradizione. A dimostrazione che il pubblico ama e sa riconoscere le belle storie, il Premio del Pubblico BNL per il miglior film ha coinciso quest’anno con il Premio per la migliore sceneggiatura, quella di Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue per il film The Motel Life, girato dai fratelli Gabriel e Alan Polsky (già produttori indipendenti, qui al loro debutto da registi), tratto dal romanzo di Willy Vlautin, solida storia on the road di due fratelli ‘maledetti’ in cerca di redenzione. Ma il premio più meritato è quello attribuito dalla giuria di ‘Alice nella Città’ - la sezione di cinema per ragazzi amatissima dal pubblico e dalle scuole, quest’anno per la prima volta staccata dal Festival di Roma, sia pur in parallelo, con una propria location fuori dall’Auditorium - al film brasiliano ‘My Sweet Orange Tree’ di Marcos Bernstein, già sceneggiatore del film Central do Brasil, storia di un bambino che vive nelle baracche della regione di Minas Gerais, tra fame e percosse, e del suo incredibile mondo fantastico, aggrappandosi al quale si salverà diventando, da grande, uno scrittore.
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