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Roma / A teatro per capire gli abusi sui minori - di Marilena Menicucci

Roma / A teatro per capire gli abusi sui minori - di Marilena Menicucci

Fino a domenica 17 aprile a Roma 'Non incontrare l'orco', lo spettacolo sugli abusi ai minori ideato e diretto da Anna Ceravolo e Carla Ceravolo e patrocinato da Telefono Azzurro

Venerdi, 15/04/2011 - Fa pensare, emozionare, capire, compatire, commuovere, meditare e tanto altro ancora questo spettacolo, ideato e diretto da Anna Ceravolo e Carla Ceravolo, che da martedi 12 a domenica 17 aprile viene dato al Teatro di Documenti di Roma, patrocinato da Telefono Azzurro.

I primi tre minuti del Prologo - interpretato da Cristina Maccà, Valentina Mannone, Lavinia Salani e Alessandra Silipo - sintetizzano l’intero lavoro: un lenzuolo bianco, steso davanti agli spettatori ancora in piedi, ad un passo dall’ingresso, rimanda le ombre di un girotondo di bambine che cantano 'Giro, giro tondo, casca il mondo…'; il gioco all’improvviso viene interrotto e l’ombra si trasforma in un corpo crocifisso. Un colpo agli occhi, al cuore e alla mente, così denso, muto e cupo da invogliare a fare dietrofront, uscire, fuggire. Chi, invece, decide di entrare nella sala superiore è consapevole non solo dell’argomento, la violenza contro le bambine, ma soprattutto del modo, in cui il problema verrà rappresentato: inediti codici artistici e molteplici linguaggi, per dire come brucia la ferita della violenza nell’anima infantile. Chi continua a partecipare al Prologo, può entrare dentro il sogno di Pollicino, il mondo più intimo dei bambini, dove non si fanno tante chiacchiere, bensì si producono dei suoni, lallazioni, uguali al respiro e al battito del cuore: soffio dello spirito di vita. Brave le attrici del coro a collegare la lettura degli articoli della nostra Costituzione sui diritti dell’infanzia, che lastricano il pavimento a mò di pietre miliari, con l’illuminazione di alcune innovative installazioni di Verdiana Gerolami, appese a materializzare il cielo come pianeti e costellazioni, uguali al vissuto-sentito-pensato dei bambini. Una mostra a sé da visitare.

Il primo atto, Incubo, senza la parola, con l’essenzialità del gesto, riesce a compiere la perfetta narrazione della metamorfosi, che cresce nella personalità della bimba, vittima di violenza, interpretata dall’intensa Chiara Benedetti, la quale dal grande dolore e dalla paura, prima diventa aggressiva, ripetendo contro la bambola ciò che le è accaduto, poi perde la dimensione umana, assumendo sembianze pietrificate, inespressive, mortuarie. Quelle della maschera.

L’intermezzo consola attori e spettatori con il sapore del latte: viene distribuito latte di mucca, d’asina e di pecora con un invito davvero poetico, dove ogni parola rientra in un accordo e le ragazze del coro cantano e si muovono meglio delle fate: rappresentano la consolazione dell’arte, unico alimento e la sola medicina per le ferite dell’anima.

Il secondo atto, fratello e sorella, è il momento della spiegazione. Mentre la sorella, Cristina Maccà, eccezionale nel suo atteggiamento: composta, vestita con cappello e borsetta, seduta, muta e immobile, il fratello, Alessandro Belardinelli, racconta la loro presente situazione di adulti poveri, senza fissa dimora, privi di tutto, tranne che dei ricordi del padre e delle sue violenze. La bravura sta nel tono del monologo: tranquillo, senza disperazione, più innocente che indifferente. Sono i ragionamenti di un bimbo e le osservazioni di un adulto cresciuto fisicamente, ma fermo mentalmente all’infanzia. Un immaturo, direbbe uno psicologo. La violenza ha fissato tanto lui che lei in quel tragico momento, impedendo alla storia d’andare avanti.

Lo spettacolo si chiude con il girotondo delle due bambine, che avevamo perduto all’ingresso, Valentina Di Blasi e Arianna Bindo, le quali riprendono a cantare Giro, giro tondo, casca il mondo…a nome di tutte le bimbe amate bene. Per fortuna ci sono anche loro, a esempio di come dovrebbero essere tutti i bambini del mondo.

Le varie parti dello spettacolo si svolgono in sale diverse, occupando l’intero Teatro di Documenti, secondo l’insegnamento di Luciano Damiani, che di sicuro è spiritualmente e felicemente presente tra gli spettatori, che seguono gli attori nel succedersi dei fatti e dei luoghi. Il suo teatro è vivo e chi lo volesse conoscere meglio, può visitare la mostra dedicata a Damiani presso la Casa dei teatri di Roma, aperta fino al 26 giugno.



Marilena Menicucci

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