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Rocco Chinnici intimo raccontato dalla figlia Caterina

Rocco Chinnici intimo raccontato dalla figlia Caterina

La presentazione di "E' così lieve il tuo bacio sulla fronte" a Carpi suggerisce troppe domande sulla sicurezza di alcuni magistrati

Giovedi, 03/07/2014 -
Una sera d'estate, una piazza accogliente del centro di Carpi, un pubblico entusiasta e un libro presentato dall'Autrice, Caterina Chinnici, intervistata da Pierluigi Senatore, di Radio Bruno, che ne traccia il profilo con tono affettuosamente ammirativo: che si può volere di più. Se non fosse che "E' così lieve il tuo bacio sulla fronte" non è solo la storia di un padre e di una figlia, magari scritta magistralmente, è quella di un padre, Rocco Chinnici, magistrato della Direzione Dipartimentale Antimafia di Palermo ucciso dalla mafia nel '83, e quella della figlia, magistrato anche lei che, dopo trent'anni al Tribunale Minorile, è entrata in politica e siede ora al Parlamento Europeo, prima eletta del PD in Sicilia.

 

Lieve è anche la narrazione, sincera fino al dettaglio, che ci permette di entrare in casa Chinnici e condividendone il quotidiano. E così conosciamo Rocco Chinnici marito affettuoso, attento e colmo di rispetto per la moglie insegnante, tanto da consentirle l'allontanamento da casa per motivi professionali per un anno. Eppure siamo nella Sicilia degli anni settanta. Padre amoroso e protettivo con i figli, dei quali si occupò ascoltandoli anche nei momenti in cui il lavoro prevalse su ogni altra occupazione, tant'è che, scherzando, un giorno affermò - a chi gli chiedeva se non avesse svaghi, se davvero fosse tutto "famiglia e lavoro" e null'altro – "il lavoro è anche il mio hobby".



Attraverso questa battuta, Caterina (così chiede di essere chiamata: né giudice né onorevole, quasi a ribadire l'intimità di ciò che racconta) forse non si rende conto di tracciare il profilo di un certo numero di inquirenti che, a mala pena anche oggi, riesce a trovare qualche minuto per i figli azzerando, per tutto il resto, la propria vita privata. Il pool antimafia di eccellenze formato da Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello, benché formalmente costituitosi solo alla fine del 1983, nacque dalla sua straordinaria intuizione di intrecciare le notizie di reato oggetto del lavoro dei singoli giudici istruttori e leggerle in controluce per intravedere la trama comune sullo sfondo dei singoli reati. È certo che non si sarebbe mai giunti al maxiprocesso del 1987 se ciascuno dei magistrati avesse continuato a indagare in autonomia, chino sul proprio filone d'inchiesta. E' certo che, da allora in poi, il pool ha combattuto la mafia con alterni successi pagati dal sangue dei suoi uomini. Ninni Cassarà, Roberto Antiochia, Natale Mondo, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina...



Rocco Chinnici morì il 29 luglio 1983 insieme a due uomini della scorta nell’esplosione di un’autobomba parcheggiata di fronte alla sua abitazione. Inspiegabilmente, nella via in cui viveva il magistrato più esposto di tutta la Sicilia, il divieto di sosta sarebbe stato disposto solo in seguito all’omicidio, per facilitare lo svolgimento delle indagini. Nove anni dopo, Paolo Borsellino sarebbe stato ucciso con la stessa modalità: un’auto imbottita di tritolo davanti alla casa della madre, che il giudice frequentava abitualmente. Anche lì, nessun divieto di sosta. Per questo, il pensiero va immediatamente al sostituto attualmente più esposto sul fronte terribile della collusione mafia-politica, Nino Di Matteo e agli uomini della sua scorta e spontanea sgorga dal pubblico la domanda che tutti vorremmo porre: "Qual è il livello di sicurezza che il Ministero degli Interni offre ai questi suoi servitori? Che cosa si è imparato dalla ripetizione delle modalità che la mafia ha adottato nei confronti degli inquirenti più in vista?"



Tutti sappiamo, infatti, che aumentare il numero degli uomini di scorta è perfettamente inutile: essi proteggono il tutelato solo in caso di attacco diretto all'uomo. Non in caso di bomba. Direi addirittura che aumentare la scorta equivale ad aumentare il numero delle vittime e a null'altro. Allora prenderebbe lo scoramento. Non c'era difesa per Chinnici, non c'era per Falcone, non c'era per Borsellino. Non c'è per Di Matteo. Invece la domanda, lunga e ben articolata, continua: "Ormai da lunghi mesi, per impedire che una eventuale (e non impossibile) bomba sia attivata da lontano, esiste un marchingegno elettronico chiamato bomb jammer. E' stato più volte richiesto, c'è perfino un'interrogazione parlamentare in corso volta a chiarire come mai tale strumento non sia ancora in dotazione. Ora noi lo chiediamo a lei, Caterinna Chinnici, se puoi darci una risposta."



Ma la risposta che arriva è solo parziale, del bomb jammer non si parla. Che sia una di quelle domande destinate a mai avere risposta?





Nota di approfondimento: Il jammer (disturbatore di frequenze) è uno strumento utilizzato per impedire ai telefoni cellulari di ricevere o trasmettere segnali. Esistono anche jammer in grado di impedire il corretto funzionamento di sistemi GPS. Quando viene attivato, il Jammer inibisce il funzionamento di questi dispositivi rendendoli completamente inefficaci. I jammer sono utilizzati principalmente in luoghi ove l’uso dei cellulari o di comandi a distanza su frequenza possono rappresentare un immediato pericolo. Le leggi italiane e di molti paesi europei ne consentono l’uso solo alle FF.OO. o per scopi militari.

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