"Robot in educazione" è il titolo dell'ultimo numero della rivista milanese Pedagogika, che da oltre un ventennio si occupa di formare una "cultura della scuola" non conformista.....
Lunedi, 20/03/2017 - "Robot in educazione" è il titolo dell'ultimo numero della rivista milanese "Pedagogika" che da oltre un ventennio si occupa di formare una "cultura della scuola" non conformista e attenta all'innovazione. Partendo da questa tematica trova conferma l'impressione che non ci si sia resi conto tempestivamente delle conseguenze che "il nuovo che ci cade addosso" comporta. E' da evitare il rischio di accettare senza approfondimento (e senza predisposizione di nuova formazione dei giovani) le innovazioni complesse che noi stessi abbiamo inventato e prodotto, ma che sono causa - soprattutto in concomitanza con la crisi finanziario-economica del 2008, di trasformazioni produttive e, di conseguenza, trasformazioni strutturali.
Per ora la robotica è entrata nelle fabbriche producendo disoccupazione tranne poche situazioni che hanno dato ai lavoratori che la impiegano e la debbono riparare o addirittura costruire, una formazione superiore, quasi ingegneristica.
Nelle scuola la robotica è già entrata come strumento di apprendimento e di ricerca e accade già che dal lavoro di qualche scuola esca qualche buon risultato applicativo, come ci racconta "Pedagogika".
Tuttavia occorre pensare anche a prevenire conseguenze non automatiche. Il discorso potrebbe farsi lungo, perché nessuno si accorge che stiamo producendo "privatizzazioni dal basso" che danno vita a mostruose multinazionali volute da "scelte/non-scelte" della gente. Infatti, mentre il taxista è destinato a diventare una professione a perdere, Uber e le altre entità affini crescono perché il trasporto, uno dei servizi pubblici non essenziali, lo può esercitare chiunque con la propria auto come secondo lavoro e il cittadino accetta di buon grado perché risparmiae viene servito prima. Lasciamo perdere l'obbligo di garanzie e regole non ancora determinate; interessa invece riflettere sulla "invenzione" di una multinazionale che ormai si è imposta anche in Cina. Oppure interroghiamoci su Facebook: ci siamo accorti che lì dentro l'utente è anche la merce ed è lresponsabile del patrimonio di Zuckenberg?
Non è proprio la stessa cosa, ma è conveniente ragionare sui nuovi fenomeni prima che la loro applicazione generalizzata produca trasformazioni che possono intaccare contesti e diritti sul piano lavorativo. Per esempio, la figura del medico: può essere sostituito da un robot che, fornito di un buon protocollo, può sfornare diagnosi affidabili. Che cosa, allora, rende necessaria la persona del medico? il fatto che, come diceva Ippocrate duemilaquattrocento anni fa, una cosa è la malattia, un'altra il malato: è necessaria "la relazione", che è il valore aggiunto non sostituibile dalla tecnica.
Varrebbe la pena di pensare il robot che nella scuola può "sostituire" l'insegnante? Se abbiamo passato decenni a discutere di "nozionismo" e di "senso critico" da svegliare per dare al cittadino la possibilità di pensare con la sua testa, bisognerà cogliere l'opportunità di usare bene il web con i suoi miliardi di informazioni. Un tempo c'era la "povera" (di informazioni) Treccani, oggi tutte le informazioni di questo mondo reperibili su scatoline portatatili non possono esaurire il diritto alla conoscenza, che è individuale, anche se nasce nella società che si chiama scuola e modifica il mondo. Con le pseudo-ricerche "copia e incolla" non si va da nessuna parte: se è necessario l'uso delle tecnologie per cercare, per imparare occorre essere in grado di argomentare. E se l'insegnante non fa "relazione" con gli studenti (a partire dal nido) e non cura la relazione tra gli scolari e la cultura, (umanistica o scientifica che sia, attenzione: un buon robot potrà sostituirlo.
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