Mercoledi, 14/02/2024 - Da oggi, giorno dedicato all’Amore per eccellenza, si apre a Torino un’esposizione che la dice lunga sulla Cultura a tutto tondo del XX secolo, quel Secol Breve che vide cambiare il mondo – e non solo positivamente. Le Arti Visive, dopo la Fotografia ed il Cinema, accolsero nuove mèta-discipline ed una di queste divenne il fotogiornalismo.
Tra i suoi suo ‘padri fondatori’ per eccellenza va senz’altro annoverato Robert Capa che assieme a Gerda Taro – i CapaTaro, quasi un ente a se stante, seppur formato da due entità – fece dei ‘fotoreportages’, soprattutto di guerra, pur se non solo, una cifra di vita, un 'modus operandi' poi passato alla Storia, adottato da molti altri di valore e di fama.
CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia presenta dunque la mostra di cui al titolo, Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra, un’altra grande esposizione – dopo le personali dedicate a Dorothea Lange (https://www.noidonne.org/articoli/dorothea-lange-racconti-di-vita-e-lavoro-19838.php), André Kertész ed Eve Arnold (https://www.noidonne.org/articoli/eve-arnold-in-mostra-a-forl-20234.php ) – che racconta con circa 120 fotografie uno dei momenti cruciali della storia della fotografia, come detto, del XX secolo, il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa in Spagna nel 1937.
Li univa anche la medesima origine ebraica: fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, Gerta Pohorylle e Endre – poi francesizzato André – Friedmann (questi i loro veri nomi) si erano incontrati a Parigi nel 1934. Si innamorarono, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li vide frequentare i Cafè del Quartiere Latino, ma anche ad impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica – due fedi in cui entrambi credettero ciecamente.
Parigi, allora, la Ville Lumère per eccellenza, nell’intervallo tra le due Grandi Guerre, attirava intellettuali ed artisti da ogni parte del mondo, ma non era facile la sopravvivenza, men che meno ‘sfondare’.
Così, per cercare di invogliare gli editori, Gerda inventò il personaggio di Robert Capa, un ricco e famoso fotografo americano – l’assonanza con il nome del regista allora famosissimo, Frank Capra servì non poco - arrivato da poco nel continente, pseudonimo con il quale André si identificò poi per il resto della sua vita. Anche lei cambiò nome, divenendo Gerda Taro.
L’anno decisivo per entrambi fu il 1936: in agosto si recarono in Spagna, per documentare la guerra civile in corso tra repubblicani e fascisti; il mese dopo Robert Capa realizzerà il leggendario quanto discusso scatto del Miliziano colpito a morte, mentre Gerda Taro scatta la sua immagine più iconica, una miliziana in addestramento, pistola puntata e scarpe con i tacchi, da un punto di vista assolutamente inedito – e mai ripetuto da nessuna - della ‘guerra fatta e rappresentata da donne’.
Entrambi innamoratissimi l’uno dell’altra, ma anche del loro splendido lavoro, morirono sul campo, giovani ‘cari agli dei’, accomunati anche in questo: Gerda, poco dopo la vittoria del Fronte Popolare, durante la battaglia di Brunete, in Spagna, il 24 luglio del 1937, è involontariamente investita da un carro armato e muore, chiudendo così tragicamente la vita della prima foto-reporter Donna di guerra.
Lui, allora lontano, le sopravvisse fino al 25 maggio 1954, quando, durante una missione fotografica per la rivista internazionale “Life” nella provincia di Thai-Binh, in Vietnam, venne ucciso da una mina antiuomo: “Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino” – amava asserire....e “Il trionfo del coraggio dell’uomo sulle più terribili avversità” non ebbe la meglio, in quel momento.
La mostra è curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi (come le altre segnalate su Dorothea Lange ed Eve Arnold), attraverso le fotografie e la riproduzione di alcuni provini della celebre “Valigia Messicana”, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e dal loro amico e sodale David “Chim” Seymour, grande fotografo co-fondatore, pure di origini ebraiche, con Capa e Henri Cartier-Bresson della mitica Magnum Photos Agency.
La valigia, di cui si eran perse le tracce nel 1939 – quando Capa l’aveva affidata ad un amico per evitare che i materiali venissero requisiti e distrutti dalle truppe tedesche – fu ritrovata solamente nel 1995 a Mexico City, permettendo di attribuire finalmente ed in maniera corretta una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro se fossero di Capa, di Seymour o della Taro: molte, infatti ora, son attribuibili, con certezza, anche a Gerda. Si parla di circa 4.300 fotogrammi di cui un terzo riferibili a Capa, ma 46 rullini appartengono a David Seymour e ben 32 si ritiene siano stati scattati da Gerda Taro.
La mostra, con il patrocinio dell’Accademia d’Ungheria in Roma, sarà accompagnata da un catalogo pubblicato da Dario Cimorelli Editore con testi dei curatori.
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