Rivoluzione sanità Dalla prima linea alla prima fila
- Se non ora quando? SANITA’ nasce per difendere la sanità pubblica come conquista irrinunciabile, per tutti. Ma soprattutto per le donne di Maura Cossutta
Domenica, 03/03/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2013
Il convegno al San Camillo “Sanità pubblica: codice rosso” è stato molto partecipato, con tante e tanti professionisti dell’ospedale ma anche tanti “esterni”, cittadini, associazioni, che hanno risposto al nostro invito con interesse e anche curiosità. Interesse per il tema “caldo” della discussione, quello della sostenibilità della sanità pubblica e curiosità per il nostro gruppo, di cui ancora poco si sa. “Se non ora quando? SANITA’” è nato come parte integrante di SNOQ nazionale, di quel protagonismo femminile consapevole ed esigente, che soffre dello spreco delle intelligenze e del merito, del valore dell'impegno e della responsabilità, della mancanza di legalità, della barbarie nelle relazioni umane, dell'aumento dei privilegi e dello snaturamento dei diritti e delle libertà. Ed è nato per difendere la sanità pubblica come snodo strategico appunto per difendere diritti e libertà, come conquista irrinunciabile per tutti, ma soprattutto per le donne. Oggi questa conquista viene per la prima volta apertamente messa in discussione. Per la sanità pubblica il tempo è scaduto: se non ora, quando reagire? Consideriamo centrale il ruolo delle operatrici e degli operatori, che sono da troppo tempo “in prima linea”, ma mai “in prima fila”. “In prima linea”, a subire gli effetti del blocco del turnover, dell’accanimento contro il Pubblico Impiego, dei tagli lineari (come quello del 15% per tutti i bilanci delle strutture sanitarie del Lazio per il 2013). In “prima linea” a reggere la fatica di carichi di lavoro sempre più faticosi, spinti sempre più verso la medicina difensiva, nell’impossibilità di garantire la centralità della persona e della relazione tra paziente e operatore (e quante denunce sono causate dal fatto che il paziente non si sente più “preso in carico”!). In “prima linea” ma mai “in prima fila”: inascoltati. Eppure la valorizzazione delle risorse umane è obiettivo delle performance sanitarie, in quanto rilevante fattore produttivo; eppure i professionisti tanto avrebbero da dire sull’appropriatezza dei percorsi assistenziali come vera misura dell’efficienza di un sistema, su come si fa programmazione a partire dall’analisi dei bisogni dei cittadini. Allora, se non ora quando? Alla vigilia delle elezioni politiche e regionali come professioniste della sanità pubblica vogliamo chiedere conto. A Storace, responsabile del “buco” di 10 miliardi quando governava e che candida come sua vice Eugenia Roccella, a tutte nota per le sue campagne fondamentaliste, ultima quella a favore della proposta di legge Tarzia contro i consultori familiari pubblici. Ma anche a Monti, che ha messo per primo sul piatto il tema dell’insostenibilità del sistema e l’apertura ad altre forme di finanziamento, che ha tagliato di 30 miliardi il Fondo sanitario senza aumentare il Fondo per la non autosufficienza, lasciando la cura delle persone anziani o disabili a carico del lavoro non retribuito delle donne (lui sì, conservatore!) E alla Polverini, che continua a fare nomine fuori tempo massimo, ha aumentato le tasse per i cittadini per ripianare il debito, ha devastato l’intera rete di assistenza ospedaliera senza alcuna programmazione, non ha stanziato risorse per potenziare i servizi prevenzione, ma ha dilapidato risorse pubbliche per finanziare la sua campagna-immagine (del tutto a-scientifica) “Mi state a cuore”. Serve insomma una scelta di campo chiara. Serve conoscenza profonda delle varie specifiche realtà, il coinvolgimento costante delle professioni, la difesa degli interessi generali, la lotta alla illegalità, la promozione di valori etici. Valori che fanno parte non di una cultura “conservatrice”, ma della cultura costituzionale, che promuove i diritti e le libertà di tutti, che riconosce le differenze per non farle diventare disuguaglianze. Una cultura che riconosce nella laicità non un minimalismo etico, ma l’approccio essenziale per leggere il diritto alla salute a partire dalla libertà di scelta consapevole delle persone, di ogni persona. Questa iniziativa vorremmo fosse un inizio, un catalizzatore di tante altre iniziative, per difendere la sanità pubblica, sapendo che per difenderla bisogna cambiarla, ma che cambiare non vuol dire tagliare. E che difendere la sanità pubblica non può significare difendere l’indifendibile: per esempio, l’autoreferenzialità dei servizi e dei comportamenti, le spinte lobbistiche e corporative, gli atteggiamenti opportunistici. Se non ora, quando?
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