Focus: 8 marzo al tempo delle crisi/1 - Combattono la loro guerra di Liberazione dall’IS e difendono anche la nostra libertà. Ozlem Tanrikulu propone di dedicare l’8 marzo alle donne del Rojava e alla resistenza del YPG
Marta Facchini Sabato, 28/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015
Ozlem Tanrikulu è la Presidente di UIKI-Onlus, l’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia. L’Ufficio denuncia la repressione e la violazione dei diritti cui è sottoposto il popolo kurdo e promuove la pace e la solidarietà attraverso attività di sensibilizzazione e informazione. Con Ozlem parliamo del significato dell’otto marzo: l’UIKI, rilanciando l’appello della rappresentanza internazionale del movimento delle donne kurde, chiede di dedicare la Giornata delle Donne alle donne rivoluzionarie delle YPJ, le Unità femminili di Difesa del Popolo nel Rojava, che hanno combattuto, ma non solo, per la liberazione di Kobane.
Le guerrigliere kurde sono state in primo piano nella lotta contro l’IS. Puoi parlarci del ruolo che le donne ricoprono nella cultura kurda e nella lotta armata?
Le donne nel movimento curdo stanno prendendo parte alla lotta per l'autodeterminazione in tutti i settori della società. Le forze di difesa sono solo uno dei vari ambiti: il lavoro di controinformazione e di denuncia, il lavoro di cura e di sostegno insieme al lavoro per la pace mostrano la strada verso nuovi rapporti di genere basati sulla libertà e liberi dall'oppressione. Ne è parte anche la scelta della co-presidenza, ossia la doppia rappresentanza di genere per ciascun incarico di responsabilità sia dal punto di vista militare sia per le cariche elettive. A livello pratico, nell'attività politica rivoluzionaria all'interno del movimento kurdo, le donne hanno trovato uno spazio di libertà che ha permesso loro di conquistare rispetto e dignità e di affrancarsi dai ruoli subordinati tradizionali. C'è ancora molto da fare ovviamente perché la mentalità feudale saldata alla modernità capitalistica è molto pervasiva, nessuna e nessuno ne è totalmente immune.
L’otto marzo è la Giornata Internazionale della donna. Che significato ha per te questa giornata? Al di là delle differenze geopolitiche, pensi che ci sia un filo conduttore che lega insieme la lotta di tutte le donne?
Noi pensiamo che ciascuno debba risvegliarsi e lottare per sé, che non arriverà nessuno da fuori a “salvarci”. Dev'essere una presa di coscienza di tutte le donne del mondo, in ciascun contesto secondo le possibilità reali del momento e del luogo. L'otto marzo si ricorda la presa di coscienza seguita alla strage di operaie chiuse a chiave dentro la fabbrica per la quale lavoravano negli Stati Uniti. Se c'è un filo conduttore, eccolo: l'otto marzo è una giornata simbolica per tutte le donne, che deve ricordarci che questo cammino - dall'analisi alla presa di coscienza fino alla decisione concreta di cambiare le cose - è un percorso che va scelto, deciso, e portato avanti secondo le proprie possibilità, tenendo presente che non sarà un percorso lineare e uguale per tutte, ma che a livello mondiale va perseguito. A mio parere, il senso dell'otto marzo è dare a tutte le donne il coraggio di dire che questo percorso è possibile. Noi come donne curde chiamiamo tutte le organizzazioni delle donne a dedicare la Giornata Internazionale delle Donne alla rivoluzione delle donne nel Rojava e alla resistenza delle Unità di Difesa delle Donne YPG.
Avete incontrato le riflessioni femministe?
Siamo passate attraverso la fase dello studio delle esperienze rivoluzionarie degli altri popoli, e anche quelli delle donne, per poter elaborare un sistema originale che si adattasse al nostro contesto. Sono state fondate accademie femminili dove le donne hanno la possibilità di formarsi, di discutere, di conoscere i diversi sistemi e movimenti. Ci sono anche occasioni di scambio diretto; ci siamo incontrate con donne dall'Europa e da altri luoghi così abbiamo potuto confrontarci dialetticamente e direttamente, mettendo alla prova i concetti teorici. Un punto su cui abbiamo fatto un percorso parallelo a quello femminista è la messa in crisi del concetto di potere/dominio maschile, che è poi quello sottostante allo stato-nazione storicamente inteso: se si resta ferme al concetto che un cambiamento avviene solo attraverso la presa del potere, possiamo al limite ottenere un cambio di regime e avere qualche possibilità in più ma non avremo cambiato la società, non avremo fatto una vera rivoluzione. Ci può essere un primo momento in cui le donne si organizzano autonomamente e mostrano che sono capaci di prendere in mano le loro vite senza aspettare il permesso da un uomo, che sia il loro padre, marito, o il loro comandante. Non si tratta di una libertà esteriore nella quale la donna imita l'uomo o guadagna il privilegio di farsi sfruttare al pari dell'uomo dalla modernità capitalistica. Questa è una falsa idea di libertà. Successivamente, quando le donne avranno imparato ad avere fiducia in se stesse, potranno portare il loro esempio di vita concreto come modello per le relazioni fra generi a qualsiasi livello della società: non è strano sentire, ad esempio, combattenti peshmerga che in Sud Kurdistan, nelle unità congiunte di difesa costituite per evitare nuovi massacri contro gli ezidi a Şengal, affermino che preferiscono farsi comandare da donne combattenti delle YPG o delle HPG perché più affidabili dei loro comandanti maschi.
Lascia un Commento