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Ritrovato il corpo bruciato di Lea Garofalo. Testimoniò contro la ndrangheta

Ritrovato il corpo bruciato di Lea Garofalo. Testimoniò contro la ndrangheta

Lea Garofalo, la collaboratrice di ndrangheta, prima strangolata, poi bruciata, e non sciolta nell’acido come era emerso dal processo di primo grado

Mercoledi, 21/11/2012 - Lea Garofalo, la collaboratrice di ndrangheta, prima strangolata, poi bruciata, e non sciolta nell’acido come era emerso dal processo di primo grado che portò all’ergastolo di sei persone tra cui il marito Carlo Cosco, anche grazie alla deposizione di Denise, coraggiosa e giovanissima figlia di Lea. I resti sono stati rinvenuti in Brianza, la certezza che il corpo sia il suo “deriva dal contesto in cui è stato ritrovato, anche se ancora manca la conferma del dna” ci conferma Enza Rando l’avvocata responsabile dell’ufficio legale di Libera e avvocata di Denise, che si era costituita parte civile al processo. “Abbiamo saputo del ritrovamento prima che la notizia trapelasse sui giornali, così c’è stato il tempo di preparare Denise ad una notizia che poteva essere scioccante. Il fatto positivo, nella tragedia, è che adesso si potrà dare sepoltura a Lea”.



Un caso eclatante, quello di Lea Garofalo, una delle prime collaboratrici di giustizia contro la ndrangheta che aveva deciso per amore della figlia di denunciare e collaborare. E di raccontare i traffici di droga e il malaffare del quartiere milanese di piazza Baiamonti a Milano, capitale di quel feudo lombardo di incroci e interessi di ndrangheta che diventerà poi cronaca dei giorni nostri. Lea lo raccontava già nel 2002. Una vita da donna in fuga e braccata dal marito che la portò ad abbandonare il sistema di protezione varie volte e a cambiare cinque o sei località in tre anni. Fino a quando a novembre del 2009, per amore della figlia decide di riprendere i contatti con il marito e di vederlo per parlargli del futuro della figlia. Purtroppo per l’ultima volta. Lui le incontra e le separa con uno stratagemma mandando la figlia a casa di parenti e rimanendo nel centro di Milano, dove Lea mai avrebbe pensato di essere rapita e trasportata in un camion per essere uccisa. Seguiranno le sue ultime ore, torturata, seviziata e il suo corpo, oggi sappiamo, buciato e nascosto nelle campagne della Brianza.



L’impianto accusatorio non cambia e la responsabilità degli imputati rimangono quelle. Ma si aprono nuovi scenari: quali scoperte hanno portato al rinvenimento del corpo? Ci sono state nuove indagini? Sono stati i pentiti a parlare, e proprio prima del processo d’appello? I magistrati non forniscono dettagli sulla persona che ha parlato. “Le indagini al momento sono secretate” ci confema Enza Rando.



Una storia terribile di cui si ritorna a parlare ci fa ritornare indietro nella memoria, alle immagini di quei fotogrammi in cui si vedevano madre e figlie ancora insieme, per l’ultima volta.

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