Iori Catia Martedi, 02/08/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2016
Esiste un netto divario tra il nostro vero potenziale e la capacità di sfruttarlo. Esiste quasi una sorta di collo di bottiglia che va restringendosi, una specie di setaccio in cui il nucleo dell’energia femminile resta impigliata. Nel quotidiano qualcosa di noi si arruffa, e aprire la consapevolezza sui propri gap non è da tutte. Occorre tempo, sostegno da parte di vere amiche e un lento lavoro psicologico su se stesse. Un’attenzione costante ai propri desideri, un pensiero frequente a ciò che ci fa stare bene e a ciò che ci fa allontanare dal nostro nucleo interiore. Non è da tutte. Perché la cosa migliore che possiamo fare per stare meglio con l’uomo ed evitare tante inutili violenze è riprendere in mano la nostra vita. Se ciascuno di noi riuscisse a esprimere la propria vulnerabilità di persona, prima ancora che di donna o di uomo, allora potremo essere una versione più vera e completa di noi stesse. Personalmente sono nella fase centrale di sviluppo della mia consapevolezza e sento dentro di me tutte le sindromi più tipiche che affliggono la mia crescita e la mia autoespressione. Vorrei vivere con maggiore pienezza, vorrei far udire la mia voce, vorrei sentirmi meritevole, imparare a domandare e a dire di no, propormi ed esprimere le mie capacità senza troppi distinguo. Fare finalmente quello che si è sempre desiderato e non spaventarmi se alcune personalità convivono con altre, non meno importanti. La nostra educazione ci abitua a dedicare molta attenzione all’esterno, preoccuparci sempre delle necessità altrui. Ma per ritrovare il nostro potere e creare la vita che vogliamo, occorre imparare a dirigerla dall’interno. È solo così che impariamo a ristabilire una connessione con la nostra forza vitale. Con il silenzio o con la nostre voci facciamo la differenza. Nel bene e nel male. Che tipo di differenza vogliamo fare? Come sarebbe - mi chiedo - attingere fin da piccole a immagini di una donna che adopera coraggio e dolcezza insieme, di una donna guerriera, di una donna che sposa prima di tutto se stessa e la sua missione di vita? Ho una cara amica che seguo da sempre, da quando eravamo bambine, che ha seguito proprio il copione di ciò che ci si aspettava da lei. Una bravissima bambina. Ha studiato ciò che la famiglia si aspettava da lei, qualcosa di utile e funzionale all’azienda di famiglia, ha sposato un uomo buono e umile, ha partorito tre figli che ha allevato con l’aiuto di madre e suocere, ha sempre lavorato nella fabbrica di cui il padre era socio anche se si costruivano pompe oleodinamiche e lei amava i fiori, gli animali, l’arte. E si è sempre occupata di organizzare viaggi e serate per tutta la compagnia. Ma se le chiedessi se pensa di essere felice, la sua risposta sarebbe confusa e inadeguata. Perché lei ha fatto il meglio che poteva ma è immediato a tutti che sta vivendo secondo ritmi e desideri non esattamente suoi. E a 50 anni che fa? Guarda alla madre per ripeterne il copione di vita perché fatalmente è quasi impossibile fermare tutto e ritrovare la bambina originaria. E quindi invece che imparare a fidarci del nostro intuito e della nostra guida interiore, abbiamo cominciato interiorizzare la convinzione di non essere abbastanza brave e intelligenti per rincorrere ciò che davvero desideriamo. Ovvio, dall’esterno, pare più rassicurante giocare una partita di cui si presuppongono e si danno per certi gli esiti. Ma è vita questa? La nostra? Quella che avremmo meritato?
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