Ritratto di gruppo con signora. Le donne di Zanele Muholi
Alla XIII edizione del Festival Internazionale della fotografia di Roma, in mostra Faces and Phases di Zanele Muholi. Attivista e fotografa, Muholi utilizza il ritratto per la narrazione della comunità lesbica e transgender sudafricana
Roma. È il ritratto il tema affrontato nella tredicesima edizione del Festival Internazionale di fotografia. Tema importante e difficile da cogliere, in particolare se confrontato con le sue antiche, e diverse, origini pittoriche. Quando, per esempio, nel 1543 Tiziano dipingeva Isabella moglie di Carlo V, la dipingeva ancora viva accanto al sovrano sebbene fosse morta da quattro anni. La fotografia ritrae persone vive, raramente morte.
Che la fotografia mantenga una peculiare differenza rispetto alla sorella maggiore pittura, lo teorizzava il filosofo Walter Benjamin nel saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Tra i volti dei ritratti dipinti e quelli scattati da una macchina fotografica c’è una sottile, seppure non valicabile, linea di confine. Difronte alla reiterazione della foto, il dipinto conserva una irripetibile originalità. Eppure, Benjamin salva la forma ritratto dalla meccanica ripetizione. È l’aura, che difende i volti dalla possibilità della copia. Una costitutiva originalità della quale il mezzo si fa interprete senza che vi sia totale appropriazione.
Marco Delogu, direttore del Festival, comprende la composita potenzialità del ritratto. Lo mostra nella scelta delle artiste e degli artisti ospitati dal Festival, dagli emergenti ai nomi noti del panorama internazionale. Ciascuno si fa autore di una propria visione fotografica, con il risultato finale di creare un grande ritratto collettivo dove, come una piazza simbolica, si generano incontri, sovrapposizioni, incroci di sguardi.
A Fotografia Zanele Muholi presenta il già noto lavoroFaces and Phases. Classe 1972, eclettica e creativa artista sudafricana, Zanele si colloca tra le poche artiste del Festival in grado di interpretare la fotografia nella sua potenzialità di messaggio sociale. Non a caso Muholi è attivista e i suoi scatti rimandano a una costitutiva e irriducibile politicità. Politicità affrontata secondo una stratificazione di significati, tra loro diversi e convergenti. Non si può non osservare come i corpi femminili ritratti siano radicalmente altri rispetto alle norme imposte dagli standard culturali e comunicativi. Volti non disciplinati, liberi dalle sovrastrutture. Che osservano e si lasciano osservare senza diventare oggetti, se ci ricordiamo quello che Laura Malvey scriveva a proposito dell’occhio e della sua azione.
In Faces and Phaces è la comunità nera lesbica e transgender a essere fotografata. Sono incontrate in Africa, Canada, Europa. E soprattutto in Sud Africa, dove Zanele è nata e dove la comunità lesbica è costretta a violenze e soprusi. Infatti, sebbene primo paese a dichiarare fuorilegge la discriminazione sessuale, in Sud Africa pratica diffusa è quella degli stupri collettivi contro le donne lesbiche allo scopo di “correggerne” l’orientamento sessuale. L’associazione Luleki Sizwe ha denunciato una media di dieci stupri a settimana solo a Città del capo.
In ritratti posati, rigorosamente in bianco e nero, le donne di Zanele sono immortalate nella loro naturale immediatezza. Qualcuna di loro non è più viva, qualcuna è stata mutilata. Eppure tutte rinascono e sfilano difronte all’obiettivo. Ricordano il diritto irriducibile alla libertà. Spingono, quasi costringono, all’atto politico dell’identificazione. In chi osserva Zanele Muholi innesta una reazione immediata, che diventa sfida alla cultura dominante occidentale, etero e bianca.
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