Torino Film Festival - Scarsa presenza di donne registe al ‘Morettiano’ Film Festival, ma molte figure travolgenti, sia per i ruoli che per l’interpretazione, da Michelle Williams a Hiam Abbas
Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2008
Il “nannimorettiano” Torino Film Festival, appena chiuso con un successo festoso a dispetto dei temi quasi sempre cupi portati sugli schermi, non ha fatto scintillare la presenza di donne registe. In compenso, la selezione fittissima disseminata nelle varie sezioni ha attribuito contorni luminosi a molte figure femminili apparse nei film presentati: donne dotate di ragione e coscienza chiare, donne che non si arrendono, che non si fanno travolgere, capaci di resistere alla sopraffazione, a situazioni oppressive, umilianti, indegne.
Ne abbiamo colte quattro di queste protagoniste nei film che ne hanno narrato la storia. Il primo di questi è “Wendy and Lucy” della regista americana Kelly Reichardt. Si racconta di una ragazza in pesante ristrettezza economica che perde la sua cagnolina durante un viaggio verso l’Alaska, dove spera di trovare un lavoro stagionale. Si avvia così, nell’indifferenza circostante, una ricerca disperata e solitaria che coinvolge drammaticamente anche lo spettatore in sala. Senza frange sentimentali, senza sbavature di commozione, senza un finale consolatorio, questo lavoro asciutto rispecchia un piccolo frammento della crisi di un grande paese minacciato nelle sue incrollabili sicurezze. Il racconto narrato con economia di riprese e di espressione, simbolo impercettibile di una realtà globale in preda all’incertezza, mette in luce la forza di una persona capace di reagire di fronte ad una realtà fatta a pezzi. Ammirevole la bravura composta dell’interprete, Michelle Williams, che commuove nelle vesti dimesse di una ragazza in cerca della sua unica compagnia e della propria sopravvivenza.
Quello del lavoro che quando viene a mancare può schiantare un’esistenza, è l’argomento del film portoghese “Entre os dedos” che si è aggiudicato il premio Cipputi destinato al miglior film sul tema del lavoro. Quella di Paulo e Lúcia è una famiglia che in quartiere popolare di Lisbona conduce una vita tranquilla. Ma il licenziamento di Paulo, che ha denunciato la morte di un amico operaio nel cantiere dove lavora, segna l’inizio di una catastrofe. Colpito nella sua dignità e umiliato, l’uomo vive la sua situazione di disoccupato con estrema difficoltà. La concentrazione interiore di rancore, di impotenza e di disperazione maturata in silenzio erompe con una violenza incontrollata. Anche in una circostanza come questa che appare senza uscita, sarà la moglie massacrata di botte per essersi venduta a seguitare a combattere per salvare almeno l’integrità domestica. In questo film in bianco e nero i registi Guedes e Serra senza emettere giudizi cercano di entrare fino in fondo alle cose in un interno che si trova a Lisbona, ma potrebbe essere ovunque.
Non si sa ancora se questi due titoli appariranno sugli schermi italiani. Invece è certa l’accoglienza di “Il giardino dei limoni” dell’israeliano Eran Riklis, che ci porta in un villaggio della Cisgiordania. Anche qui sono ancora due donne a sostenere i principi di dignità e di giustizia con il loro coraggio e lo spessore emotivo: una vedova palestinese che coltiva con amore un limoneto e la moglie di un ministro israeliano, nuovo vicino di casa, che ha intimato la distruzione del giardino per ragioni di sicurezza. Magnifica interprete è Hiam Abbas, un’ottima attrice che irradia fascino e coinvolge per la recitazione per la sua umanità.
Affetto, onestà, verità, “termini fuori moda” - ha detto il regista israeliano – “ma l’approccio è questo, quando si vuole parlare di libertà e di convivenza civile in una situazione esplosiva come quella del Medio Oriente”.
Che siano circostanze semplici o complicate, i film di questi tempi sembrano voler dare una rappresentazione veritiera avvicinandosi ai personaggi, al di là delle rappresentazioni fornite dai media. E le donne, che sanno reagire, aprire orizzonti e costruire ponti su altre sponde, sono molto spesso in grado di riflettere con chiarezza la verità delle cose.
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