“Di solito sono le sconfitte a non avere padri. Ma qui sta succedendo il contrario. Prima le elezioni amministrative di Milano e Napoli hanno premiato due eretici. E adesso i referendum, vinti da cittadini che sono tornati a credere nella politica, ma non nei politici. Un movimento di massa sganciato dai partiti, che sancisce il declino dei due capi-popolo più potenti dell’ultimo ventennio, ma non incorona nessuno al posto loro, perché in nessuno riconosce una figura davvero estranea alla Casta”.
Massimo Gramellini su “La Stampa” commenta così gli esiti del referendum. E avverte: “Ma non si può restare orfani di padre troppo a lungo. Ogni mutazione sociale ha bisogno di interpreti forti. E perché avvenga dentro i canoni della democrazia, richiede da questi interpreti qualità non solo carismatiche, ma di sostanza: la competenza, la sobrietà, il demone del riformismo. Quel talento del vero leader che consiste nell’anticipare i bisogni profondi dei cittadini, anziché inseguirli lungo la china demagogica dei sondaggi. La fine sfilacciata ma inesorabile del berlusconismo sorprende l’Italia senza padri, a destra e a sinistra. Magari il futuro prossimo ci riserva personalità ancora ignote o sotto traccia. Ma per il momento l’ironia della sorte è che i nomi più appetibili sul mercato - da Casini a Matteo Renzi a Rosi Bindi - sono tutti democristiani. Come se questo Paese non potesse essere nient’altro, nel bene e nel male”.
Caro Gramellini, io la stimo e la seguo da anni e so che osservare il mondo da vari punti di vista è una delle sue prerogative. Per questo mi permetto di suggerire un’altra lettura a questa mancanza di padri.
Le madri (resistenti, Costituenti, referendarie, e così via) sono abituate a essere oscurate e censurate dalla storia, così come essa viene raccontata nei libri e altrove. Ma non hanno mai smesso di lottare. Adesso tocca ai padri. Chissà che questa lezione di umiltà, che reca con sé grandi valori collettivi, non aiuti tutti noi, uomini e donne, a rivedere questa “orfanità” come il richiamo a una responsabilità più grande, che non dimentichi il passato ma nemmeno lo erga a pensiero unico. Soprattutto quando quel pensiero zittisce le singole individualità che costruiscono il presente del nostro Paese. Mi permetta di dire che quel pensiero unico molto spesso è stato un pensiero maschile, quando non addirittura maschilista. Fra i cittadini che sono tornati a credere nella politica, o che non ci credono ma, dal basso appunto, combattono quotidianamente una lotta impari contro le ingiustizie e le discriminazioni, ci siamo proprio noi donne, a milioni.
Anzi, anche noi crediamo e vorremmo che, nel linguaggio, nel lavoro, nelle case, nella rappresentazione mediatica e nella rappresentanza politica, questa partecipazione attiva e concreta venisse riconosciuta.
Chi ha vinto? Hanno vinto tutti e tutte quelle che hanno partecipato.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma per amor di sintesi mi fermo qui.
La saluto cordialmente con le parole di Lucio Beloni, un padre (in senso anche biologico), uno dei tanti di questa avventura democratica che, speriamo, è appena iniziata.
“Oggi mi sono messo da una parte da solo in un prato sotto una pianta e dopo tutti questi anni di sacrifici per il bene comune acqua mi sono rilassato e ho pianto. Mia figlia mi ha visto e mi ha chiesto come stavo. Ho dovuto spiegarle cosa sono le lacrime di gioia...”
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